Tutela intellettuale e Innovazione: il caso Glivec

Il primo aprile 2013, la Corte Suprema Indiana ha emesso una sentenza contro una richiesta della casa farmaceutica svizzera Novartis, respingendo definitivamente il suo ricorso per il riconoscimento del brevetto per una forma modificata del farmaco oncologico Imatinib mesilato, meglio conosciuto come Glivec.

La pronuncia della Corte Suprema indiana determina una vittoria storica per l’accesso a farmaci a basso costo per i pazienti dei Paesi in via di Sviluppo, mettendo al primo posto il diritto alla salute della popolazione e, contemporaneamente, tutelando la fiorente industria farmaceutica locale specializzata nella produzione di farmaci generici, di cui è il più importante paese esportatore. Questa sentenza rappresenta una svolta epocale nella storia dell’industria farmaceutica e consentirà alle persone affette da leucemia mieloide cronica di curarsi con il farmaco generico al costo di 170-200 euro al mese, invece che con i 2.500 euro al mese della terapia tradizionale di Novartis.

Nel comunicato stampa di Novartis si legge che la sentenza “scoraggia la futura innovazione, negando alle aziende un’equa ricompensa, necessaria per poter investire sui farmaci del futuro” la dose è rincarata anche da Rnajit Shahani vicepresidente e direttore generale di Novartis India che afferma che “la decisione della Corte Suprema ostacolerà il progresso scientifico per trovare una cura a quelle malattie per cui attualmente non esiste un’efficace opzione terapeutica”. Sarà davvero così?

DOVE NASCE L’INNOVAZIONE?

Marcia Angell, ex direttrice del prestigioso New England Journal of Medicine, nel suo libro Farma&Co pubblicato in Italia nel 2006 scrive che, in realtà, la fase di ricerca e sviluppo (R&S) rappresenta una parte relativamente piccola nei budget delle grandi aziende farmaceutiche, che si riduce ulteriormente se paragonata alle enormi spese per il marketing e l’amministrazione, risultando addirittura inferiore ai profitti. I prezzi imposti dalle case farmaceutiche hanno, quindi, uno scarso rapporto con i costi della produzione dei farmaci e potrebbero essere drasticamente tagliati senza mettere in alcun modo in pericolo la R&S. Inoltre, Angell porta numerosi esempi di come l’industria farmaceutica non sia particolarmente innovativa, avendo introdotto, negli ultimi anni, solo una manciata di farmaci veramente nuovi e ciò è avvenuto sfruttando soprattutto la ricerca delle istituzioni accademiche, di piccole società di biotecnologie o del National Institute of Health (NIH). Di conseguenza la grande maggioranza dei farmaci introdotti sul mercato non sarebbero affatto nuovi e innovativi ma semplici variazioni di vecchi farmaci già in commercio, definiti come farmaci me-too (farmaci anch’io).

IL GLIVEC

Ed è proprio in questo contesto che si inserisce anche la storia del Glivec. Il Glivec è uno dei sette farmaci, classificati come innovativi, approvati nel 2001 dalla F&DA ed efficace nell’inibire, di colpo e con effetti collaterali ridotti, la rara leucemia mieloide cronica: una malattia del sangue che, prima della scoperta dell’imatinib mesilato, era quasi sempre fatale per il paziente. Ben presto il Glivec diventa il farmaco di punta dell’azienda Svizzera, che lo utilizza come suo testimonial per l’innovazione farmaceutica. Tanto che, in una delle sue pubblicità (esempio tratto da Farma&Co), l’azienda mostrava una giovane donna, sorridente, che diceva: “Non molto tempo fa, non riuscivo a pensare che al cancro che mi affligge. Oggi mi sento così bene che devo ricordarmi che sono una malata di cancro”. E nel testo che appariva c’era scritto: “Novartis ha fatto regredire rapidamente e completamente il suo cancro mortale”. Però, se è vero che Novartis aveva brevettato per prima la molecola alla base del farmaco, è anche vero che ha avuto più di un piccolo aiuto. La storia dell’imatinib mesilato, infatti, inizia nel 1960 con la scoperta fatta all’Università della Pennsylvania della presenza di una  Forma particolare di un cromosoma nei pazienti con leucemia mieloide, il “cromosoma Filadelfia”. Successivamente altre ricerche universitarie hanno messo in luce che Il cromosoma Filadelfia ospita un gene mutato che è in grado di trasformare i globuli bianchi in cellule cancerose. E solo in seguito a queste scoperte, alla Novartis hanno iniziato a sintetizzare molecole che avrebbero potuto inibire l’azione dell’enzima pericoloso. Nel 1994 la casa farmaceutica brevetta parecchi di questi inibitori, aggiungendoli al novero dei suoi candidati farmaci potenzialmente utili: ben presto, però, li accantona, decidendo di non proseguire nella ricerca di una terapia efficace per la leucemia mieloide. Per capire la decisione di Novartis vale la pena aggiungere che la leucemia mieloide è una malattia rara e, di conseguenza il costo di produzione del farmaco sarebbe stato di gran lunga maggiore rispetto ai ricavi derivanti dalla sua messa in commercio.  Al problema della leucemia mieloide si interessa, invece, un ricercatore dell’Oregon Health & Sciences University di Portland, Brian J. Drucker che scopre che l’imatinib mesilato è in grado di bloccare la crescita delle cellule cancerogene in coltura e che non ha alcun effetto sulle cellule ematiche normali ed esorta la riluttante Novartis a esplorare a fondo questa pista. Finalmente, nel 1999 Drucker può riferire i primi sorprendenti risultati a un convegno per ematologi, la notizia dell’efficacia del farmaco si diffonde rapidamente e così Novartis decide di iniziare i trial clinici su larga scala. Nel giro di soli due anni la Food and Drug Administration (FDA) approva il farmaco, in qualità di farmaco orfano. La storia del Glivec stesso è un ottimo esempio di come buona parte dell’investimento in R&S delle aziende farmaceutiche sia successiva alla presenza di una buona prova scientifica ottenuta da ricerche svolte al di fuori dell’industria, e come, di conseguenza, la garanzia di un brevetto che tutela il monopolio della casa farmaceutica non sia assolutamente un facilitatore dell’innovazione, ma al contrario potrebbe addirittura rallentarla.

I FARMACI ME-TOO E LA TUTELA BREVETTUALE

Quello del Glivec non è un caso isolato: uno studio del 1998 pubblicato sulla rivista Health Affairs metteva in luce che, quell’anno, solo il 15% degli articoli scientifici presentati con le domande di brevetto per medicinali clinici arrivavano dalla ricerca dell’industria mentre ben il 54% proveniva da centri accademici, il 13% da centri di ricerca governativi e il restante 18% da altre istituzioni pubbliche e non-profit. Di questi, se fossero stati presi in considerazione solo i dati relativi ai principi attivi veramente innovativi, il numero delle richieste di brevetto con ricerche sostenute dalle aziende si sarebbe ulteriormente ridimensionato. Infatti, la maggior parte dei farmaci proposti dalle aziende farmaceutiche sono farmaci me-too, cioè farmaci nati da filoni di ricerca non proprio originali e quindi con delle caratteristiche quali la classe chimica o il meccanismo d’azione relativamente diverse rispetto alla nuova entità molecolare originaria. Nel quinquennio tra il 1998 e il 2002, negli USA la FDA ha approvato 415 farmaci, di questi ben il 77% erano stati classificati dall’agenzia come farmaci me-too cioè farmaci non migliori di quelli precedenti per trattare la stessa condizione. Nonostante questo, questi farmaci sono diventati meritevoli, per le autorità di  governo, del diritto di tutela intellettuale: le case farmaceutiche devono solo dimostrare alla FDA che i farmaci sono efficaci, non che sono più efficaci (o di pari efficacia) della versione precedente del farmaco. Quello che conta è che il presunto nuovo farmaco sia meglio di niente, e questo è quello che fanno le aziende farmaceutiche: nel corso dei trial clinici, invece che confrontare il nuovo farmaco con la vecchia terapia finora utilizzata, lo confrontano con dei placebo, se il farmaco dà risultati migliori a quelli del placebo allora è efficace. Poco importa se in realtà potrebbe essere meno efficace della versione precedente. In questo modo le industrie possono allungare la vita di un farmaco di punta (definito Blockbuster), il cui brevetto è in scadenza, proponendone una versione leggermente modificata e spostando, grazie a una serrata azione di marketing, gli utilizzatori verso il me-too appena brevettato. Questa pratica è nota come evergreen e consente alle aziende, con poche e non significative modifiche al farmaco di riuscire a ottenere spesso un nuovo brevetto, impedendo lo scadere della tutela sul prodotto e consentendo di mantenere il costo elevato in un regime di monopolio. Da un punto di vista legislativo, il riconoscimento di un brevetto e la sua applicazione segue un iter differente nei vari paesi in cui l’industria richiede la tutela del brevetto, nonostante questo, nel 1995 i paesi facenti parte del WTO (World Trade Organization) hanno firmato un accordo (il TRIPs – Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) per dare maggiore unitarietà alla tutela intellettuale e hanno stabilito che la durata dei brevetti in campo farmaceutico deve avere una durata pari a 20 anni a partire dalla registrazione del farmaco cioè da prima dell’inizio dei trial clinici e della richiesta di messa in commercio. Trascorsi questi venti anni il farmaco diventa di pubblico dominio e chiunque può produrlo e venderlo: la concorrenza provocherà l’abbassamento del prezzo. Il TRIPs è stato firmato anche da paesi in via di sviluppo ai quali però è stato concesso un termine maggiore per adeguare la propria normativa. L’India, per favorire lo sviluppo della sua industria farmaceutica, oggi talmente fiorente da garantirle l’appellativo di farmacia dei poveri, aveva abolito la proprietà intellettuale sui farmaci nel 1970, solo nel 2005, per tenere fede agli accordi firmati, si vede costretta a reintrodurre i brevetti. La legge introdotta riconosce una tutela ai farmaci innovativi, ma nella tanto contestata sezione 3d, stabilisce dei criteri piuttosto restrittivi sulla concessione di brevetti per farmaci già esistenti. Nella sezione 3d stabilisce che: la semplice scoperta di una nuova forma di una sostanza già esistente, dalla quale non risulta un effettivo incremento dell’efficacia del farmaco, o la semplice scoperta di una nuova proprietà o di un nuovo uso di una sostanza conosciuta non costituiscono una reale innovazione. La richiesta di brevetto per il Glivec era già stata respinta una prima volta dall’ufficio brevetti indiano nel 2006: l’Imatinib mesilato, infatti, era un composto conosciuto sin dagli anni ’90, molto prima della nascita del Glivec. Non contenta di questa decisione Novartis ha presentato una richiesta di brevetto per la nuova forma beta-cristallina del farmaco sulla base delle sue supposte migliori caratteristiche farmacocinetiche. Tuttavia la Corte Suprema Indiana, non ritenendo che le migliori caratteristiche farmacocinetiche della forma beta-cristallina comportino una maggiore efficacia terapeutica rispetto alla versione originaria, ha respinto definitivamente la richiesta di tutela del colosso svizzero.

La sentenza sul Glivec costituirà sicuramente un precedente storico che si auspica possa contribuire a ridurre la tendenza delle industrie a proporre farmaci me-too e dei governi a concederne il brevetto anche quando non c’è un vero e proprio vantaggio terapeutico. Gli accordi TRIPs allo stato attuale non sono in grado di porre un freno al riconoscimento compulsivo di nuovi brevetti, di certo le misure contenute nella legge indiana (come la tanto contestata sezione 3d) possono essere un buon inizio nel tentativo di arginare il fenomeno dell’evergreen e, contrariamente a quanto sostenuto dai vertici di Novartis, potrebbero essere la spinta che serve alle aziende per rimettersi a investire seriamente nell’innovazione. Infine, un ulteriore suggerimento su come ridurre il dilagare di tutele su farmaci me-too viene da Marcia Angell secondo la quale i trial clinici, il cui scopo è quello di testare una versione modificata di un farmaco già esistente, dovrebbero essere fatti confrontando la nuova terapia con quella vecchia e non esclusivamente per il placebo. Per cui i nuovi farmaci che nei trial risultassero di efficacia inferiore o uguale a quella della vecchia versione dello stesso farmaco non sarebbero meritevoli di ulteriore tutela brevettuale.

 

Bibliografia:

Angell M. (2006). Farma&Co – Industria farmaceutica: storie di ordinaria corruzione. Milano: il Saggiatore

Hitchings A.m Baker E., Khong T. (2012). Making medicines evergreen. BMJ 

Zinner D.E. (2001). Medical R&D at the turn of the millennium. Health Affairs, settembre-ottobre 

Roderick P., Pollock A.M. (2012), Indian’s patent law under pressure. The Lancet 

Ufficio Stampa Medici Senza Frontiere (2013). La Corte Suprema indiana si esprime sul caso Novartis

Progetto di MSF Drop the case, URL: http://www.msfaccess.org/novartis-drop-the-case

 

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