Come suggerisce il rapporto sul Benessere equo e sostenibile 2015, coordinato dall’Istituto nazionale di statistica, ricerca e innovazione costituiscono una determinante indiretta del benessere. Sono alla base del progresso sociale ed economico e danno un contributo fondamentale allo sviluppo sostenibile e durevole. Il sentore è che l’Italia non sia all’altezza di altri paesi europei e i dati lo confermano, inoltre è lontana dagli obiettivi di Europa 2020. La quota del Pil destinata alla Ricerca e Sviluppo nel nostro Paese diminuisce e ciò aumenta il gap tra noi e Paesi come Finlandia, Svezia, Danimarca e Germania. Inoltre in Italia gli investimenti nei settori ad alta tecnologia e il loro conseguente sviluppo sono tra i più bassi d’Europa.Questi settori sono caratterizzati da una particolare propensione all’innovazione, ricerca e sviluppo, quindi svolgono un ruolo fondamentale. Lo sviluppo di settori ad alta tecnologia rappresenta, inoltre, un fattore di crescita economica e di aumento della produttività e può offrire un contributo diretto al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Sotto il profilo territoriale, Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna si confermano le regioni più dinamiche in termini di ricerca e innovazione. Anche il Lazio e la Toscana registrano buoni risultati.
Per quanto riguarda la conoscenza tecnologica l’Italia si differenzia, ancora una volta in negativo, dagli altri paesi ed il gap tecnologico è evidente, anche se la diffusione di internet è in continua crescita. Dal rapporto emerge che nel 2013, la spesa totale in R&S ammontava a 21 miliardi di euro e rispetto all’anno precedente è aumentata del 2,3% in termini nominali e dell’1,1% in termini reali. È aumentata leggermente anche la sua incidenza percentuale sul Pil che risulta pari all’1,31% a fronte dell’1,27% del 2012. Tuttavia, l’investimento in R&S è ancora lontano dal target nazionale dell’1,5% di Europa 2020.
Un fattore interessante e positivo è l’incremento dell’occupazione delle donne nel settore high-tech (che passa dal 31,3% del 2011 al 33,7% del 2012, dati Bes 2014). La crescente presenza di donne nei settori hi-tech è probabilmente una conseguenza dell’aumento di competenze scientifico/tecnologiche delle donne, possibile fonte di occupazione qualificata.
Un grosso problema dell’Italia è il divario tra nord e sud, oltre tre quarti della spesa complessiva in R&S infatti è concentrata nelle regioni del Nord (Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna) e nel Lazio. Nel triennio 2010-2012, però, c’è stato un lieve incremento di imprese che hanno svolto almeno un’attività di innovazione; rispetto al triennio 2008-2010 infatti la percentuale è passata dal 50,3% al 51%. Per quanto riguarda l’impatto economico delle attività di ricerca e innovazione, non si registrano variazioni significative nella quota di occupati nell’high-tech rispetto al 2014. Questo settore, con il 3,34% degli occupati totali, si attesta su livelli più bassi sia rispetto a quelli registrati nei principali Paesi europei, quali Germania e Francia, sia rispetto alla media europea (3,9%). L’Italia infatti si colloca al 20° posto, seguita solo da Grecia, Portogallo e i paesi dell’Europa Orientale. C’è da dire però che in relazione ai Paesi fortemente colpiti dalla crisi l’Italia è riuscita a mantenere una certa stabilità, ciò indica la necessità di proseguire e soprattutto stimolare gli investimenti in questo settore. Anche per l‘occupazione nel settore high-tech balzano all’occhio le regioni del nord, nel 2013 oltre due terzi degli occupati nei settori ad alta tecnologia erano concentrati in sole 5 regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna che insieme assorbono il 50% e il Lazio (18%).
Rispetto all’occupazione totale, le regioni con le più alte quote di occupati nell’high-tech sono il Lazio (6,2%), la Lombardia (4,9%) e il Piemonte (3,7%). Le restanti regioni sono collocate sotto la media. Il Lazio rimane al passo con tempi, anche se ha registrato una caduta di oltre il 10% degli occupati nel settore dal 2011. Nonostante ciò, resta la regione con la maggiore incidenza di occupati nei settori più innovativi. E’ evidente il ritardo del Mezzogiorno, caratterizzato da livelli sensibilmente inferiori rispetto al valore medio nazionale. Come già accennato, anche la conoscenza in fatto di nuove tecnologie e nell’utilizzo di queste ultime non è positiva nel nostro Paese. Si hanno infatti delle sostanziali differenze in ambito territoriale, sociale, di genere e di generazione. In tal modo ci allontaniamo ancora una volta dalla media europea nell’utilizzo di internet (72%, dati Bes 2014) con un distacco di 16 punti percentuali.
Persistono, inoltre, differenze nell’uso di internet tra grandi e piccoli comuni, anche a causa di una copertura di rete non omogenea. Si riducono, invece, le differenze generazionali, in particolare tra i giovani di 16-24 anni e gli adulti tra i 55 e i 64 anni, il divario rimane in ogni caso piuttosto ampio. Nel 2014 rimane sostanzialmente stabile il divario di genere nell’uso di Internet anche se negli anni precedenti si è andato riducendo. Va sottolineato però che il divario tecnologico a favore degli uomini si accentua a partire dai 35 anni, mentre tra i giovani non esistono differenze tra uomini e donne nell’uso di internet. Infine rimangono stabili le differenze dovute al titolo di studio, con i laureati che navigano nel web molto di più delle persone in possesso di licenza media.