La crisi economica, politica e sociale che ha colpito in questi anni tutti i Paesi europei, non ha risparmiato nemmeno il settore della Ricerca e Sviluppo (R&S). In Italia, cosi come in tutti i Paesi UE si investe meno per la ricerca, sia nel settore pubblico che in quello privato. Ma con la crescita di nuovi settori tecnologici, come la robotica e l’intelligenza artificiale, è importante comprendere che la ricerca è un settore cruciale per la ripresa economica, per l’aumento della produttività e della competitività, per l’aumento del volume d’affari delle imprese e per la creazione di nuovi posti di lavoro. È importante altresì sottolineare l’impatto economico e sociale della ricerca e dell’innovazione alla luce di trasformazioni che sono in atto a livello globale, come l’aumento dell’età media, i cambiamenti climatici, la globalizzazione e la digitalizzazione.
L’Unione Europea, a partire dagli anni 2000, ha sviluppato il Programma Quadro europeo per la Ricerca e l’Innovazione – Horizon 2020, ovvero una serie di iniziative per favorire lo sviluppo e la crescita dei Paesi membri. In merito agli investimenti nel settore R&S, l’Europa ha previsto un aumento della spesa annua, fino ad arrivare a destinare alla ricerca il 3% del PIL entro il 2020.
Purtroppo però, gli investimenti nel settore R&D nell’UE non stanno crescendo così rapidamente per permettere di raggiungere l’obiettivo del 3% entro il 2020. È lo scenario descritto dal rapporto della Commissione Europea “Science, Research and Innovation Performance of the EU 2018”, pubblicato lo scorso gennaio: le spese per la ricerca e lo sviluppo in Europa, in un lasso di tempo che va dal 2000 al 2015, sono calate di 5 punti percentuali, passando dal 25% del 2000 al 20% del 2015. Il rapporto analizza le prestazioni dei Paesi membri per quanto riguarda gli investimenti destinati alla ricerca e all’innovazione. Nonostante quasi un terzo delle pubblicazioni di alta qualità a livello globale sia europea, e nonostante l’UE sia l’economia con il maggior numero di ricercatori, non si investe nella R&S tanto quanto altri Stati. Il calo riguarda sia gli investimenti nel settore pubblico che quelli nel settore privato.
Nel settore privato la spesa più alta è effettuata dagli Stati Uniti e dalla Cina. In particolare, la Cina ha incrementato notevolmente i suoi investimenti nella ricerca sia per quanto riguarda il pubblico che il privato (Figura 1.A e Figura 1.B). Questo andamento è una diretta conseguenza del fatto che, negli ultimi anni, l’intensità degli sforzi dedicati a R&S ha ristagnato a livello di tutta l’UE.
In gran parte dei Paesi membri, un terzo degli investimenti proviene dal settore pubblico. Il governo riveste quindi un ruolo forte nella ricerca pubblica in molti stati europei. In media nell’UE, il 55,5% della R&S è finanziato da imprese nazionale, e un ulteriore 10% è finanziato da imprese estere. Negli ultimi anni il supporto pubblico alla ricerca nelle imprese è aumentato notevolmente, passando da uno 0,13% del PIL nel 2006 allo 0,19% nel 2015. Gli aiuti del governo possono arrivare sotto forma diretta (investimenti) o sotto forma indiretta (incentivi e sgravi fiscali). Gli incentivi fiscali sono efficaci nello stimolare gli investimenti nel settore della ricerca; a livello di tutti i Paesi membri si assiste però a un ritardo tra l’introduzione di un incentivo e un conseguente aumento della spesa per la ricerca.
Quello che emerge dal rapporto è che l’Europa presenta delle buone prestazioni nei settori più tradizionali, ma al tempo stesso manifesta una scarsa imprenditorialità nei settori più innovativi, e questo si ripercuote sulla capacità di supportare i rapidi cambiamenti strutturali che stanno avvenendo a livello economico che portano sempre più verso attività maggiormente innovative e produttive.
Figura 1.A: Investimenti pubblici nel settore R&S nel 2000 e nel 2015
Figura 1.B: Investimenti privati nel settore R&S nel 2000 e nel 2015
All’interno di questo contesto europeo come si comporta l’Italia? Dal rapporto emerge che nel nostro Paese gli investimenti nella ricerca sono pari al 1.3% del PIL, contro una media europea del 2%. L’Italia quindi investe meno di altri Paesi e il numero di occupati nel settore R&S è inferiore alla media europea. Nonostante questi numeri non giochino certo a nostro favore, l’impatto della produzione scientifica italiana risulta significativamente superiore alla media europea.
Come sono ripartiti gli investimenti nel nostro Paese? Il 38% della ricerca è finanziata dal governo, il 50% da imprese, il 8.3% da imprese estere e il 3.7% da altre fonti nazionali. Dei fondi pubblici provenienti dall’estero, il 30% dei finanziamenti provengono dalla Commissione Europea, principalmente attraverso il programma Horizon 2020. Il supporto pubblico che l’Italia destina alla R&S del settore privato è pari allo 0.1% del PIL, aiuti divisi abbastanza equamente tra investimenti e incentivi fiscali.
Per quanto riguarda gli investimenti in ricerca e innovazione, la situazione italiana è stata ben riassunta dalle parole del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi dell’Insubria, professor Alberto Coen Porisini: “L’investimento nella ricerca è qualcosa che non ha un ritorno immediato, lo dà più avanti nel tempo. Non è un caso che i Paesi che stanno uscendo e sono usciti dalla crisi siano quelli che hanno più investito in ricerca e sviluppo. In Italia purtroppo si pensa ancora che la competizione vada fatta sul costo del lavoro, dove invece la battaglia è persa perché non potremo mai competere con Paesi che hanno situazioni socio economiche diverse dalle nostre. La competizione da noi va fatta sulla tecnologia e sulla qualità, e questo richiede ricerca e sviluppo”.
Il rapporto della Commissione Europea propone infine una previsione sulle future opportunità di lavoro: una crescita della richiesta di personale altamente qualificato è prevista per la prossima decade, in risposta all’aumento degli investimenti alla ricerca previsto in Europa per il 2020. Allo stesso tempo, è previsto che il numero di posti di lavoro con media e bassa qualifica diminuirà.
Paradossalmente però, gli investimenti nell’istruzione terziaria (università) sono inferiori in Europa rispetto a Stati Uniti e Corea del Sud, nonostante notevoli sforzi pubblici. In particolare, gli investimenti privati sono molto più bassi nell’UE rispetto a questi Paesi e anche la spesa pubblica è leggermente diminuita negli ultimi anni.
In Italia la spesa per l’istruzione fino alle scuole superiori ammonta al 3% del PIL, investimenti che provengono quasi totalmente dal pubblico. Quando si arriva all’università invece, gli investimenti scendono all’1%, quasi equamente divisi tra fondi pubblici e privati. La media europea nel settore dell’educazione terziaria è del 1.5% contro un 2.5% degli Stati Uniti. Questa differenza è causata principalmente da una mancanza di investimenti in Europa da parte di privati.
Fonti:
Rapporto ISTAT sulla conoscenza 2018
https://www.istat.it/storage/rapporti-tematici/conoscenza2018/Rapportoconoscenza2018.pdf
Science, Research and Innovation Performance of the EU 2018
https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/rec-17-015-srip-report2018_mep-web-20180228.pdf