Milano Greco Pirelli. In un comunissimo lunedì di fine agosto la banchina del treno del polo universitario di Milano-Bicocca è straripante di ragazzi dagli occhi smarriti e sognanti: le nuove matricole.
Li vedo passando in treno di ritorno dal lavoro e penso a quale dovesse essere il mio sguardo tredici anni fa; il ricordo è un po’ appannato… come avevo scelto proprio la Bicocca? Dove avevo trovato le informazioni sulla strada per arrivarci? e come mi ero iscritta? Istintivamente, mi rispondo con un banalissimo “avrò cercato le informazioni su internet”.
Internet? Era il 1999 e non avevo un computer. E non sapevo nemmeno accendere un computer.
L’iscrizione all’università era per lo più cartacea. Avevo scelto la facoltà di Fisica parlando con i professori del Liceo e sfogliando un opuscolo sulla nascente Università degli Studi di Milano–Bicocca. E la strada? Come ero arrivata lì la prima volta? Non me lo ricordo… credo avrò chiesto a qualcuno.
Sembra l’anteguerra.
In tredici anni il paradigma dell’informazione è talmente cambiato da poter distinguere un prima e un dopo; come si faceva prima di internet?
Internet non ha cambiato la vita solo di chi ha imparato a navigare ma anche di chi non ha mai acceso un pc: ha creato un’alternativa anche solo ipotetica e ha immerso tutto e tutti in un’aura di progresso e di cambiamento continuo.
Come il telefono, la televisione o il computer, salutati anche da intellettuali con distacco e superiorità, internet ha vinto la diffidenza delle generazioni più conservatrici e ha conquistato il mondo, modificando profondamente la posizione del cittadino nei confronti dello stato e del mercato.
Ora si può chattare e video-chiamare un amico che sta a migliaia di chilometri di distanza, guardare filmati o film, ascoltare la radio, fare musica, seguire corsi universitari, giocare, leggere aggiornarsi e documentarsi, vivere seconde e terze vite o visitare città. Stando assolutamente fermi sul posto.
Un passatempo ben riuscito? Molto, molto di più.
Oggi in Italia l’internet economy riveste il 2 % del PIL e dà lavoro a circa 700000 persone; ancora poco se si confrontano questi dati con quelli di altri paesi: in Gran Bretagna l’internet economy rappresenta il 7,2% del PIL, più del settore sanitario; il governo tedesco ha promosso un progetto “Digital Deutschland 2015” che, si stima, grazie alla banda larga (trasmissione e ricezioni di dati in grandi quantità) creerà oltre 1 milione di posti di lavoro in Europa; l’ex presidente francese Sarcozy ha assegnato allo sviluppo di tecnologie dell’informazione e comunicazione 4,5 miliardi di euro e in USA il presidente Obama ha nominato per la prima volta un direttore dell’informatica e della telecomunicazione federale.
Forte della convinzione che competitività, innovazione e crescita facciano il paio con internet e banda larga, nel maggio 2010 la commissione europea ha presentato un’agenda digitale con lo scopo di sfruttare a pieno tutte le potenzialità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’agenda digitale rientra nel più ampio progetto di strategia europea EU2020 che ha come obiettivo quello di garantire all’Europa una crescita intelligente e sostenibile.
In particolare un’ efficace diffusione delle tecnologie digitali può stimolare l’occupazione e i mercati, assicurare un migliore servizio sanitario, trasporti più efficienti e sicuri, comunicazione e informazione più trasparenti e un efficace accesso ai servizi pubblici e alla cultura, il tutto rispettando l’ambiente.
Ma, per usare una parola molto in voga, lo spread digitale del nostro paese è alle stelle! In Italia l’analfabetismo digitale e la scarsa consapevolezza della potenzialità della rete da parte di utenti privati e pubblici non permette alla banda larga di prendere piede. Questa mancata occasione costa al nostro paese dal 1,5 al 3 % del PIL e causa una considerevole perdita di competitività rispetto ai nostri partner europei.
La Commissione europea per l’agenda digitale stima che nel nostro paese il 41% degli italiani non sia mai entrato in rete, il doppio o il triplo rispetto a Francia (24%) e Germania (17%)
Ad oggi la banda larga copre il 10% del territorio italiano mentre in Svizzera arriva al 90%; Giappone e Corea sono già al 100% (Il fatto quotidiano, Banda larga e fibra ottica, l’alta velocità che manca all’Italia, Eleonora Bianchini, 6 agosto 2012).
I buoni propositi degli ultimi mesi puntano ad arrivare entro al 2020 con il 50% della copertura a 100 Megabit e del 100% a 50 Megabit e a garantire entro il 2013 a tutti i cittadini almeno la banda larga base: 2 Megabit (ora sono 4 milioni a esserne coperti). Roberto Sambuco, direttore del dipartimento comunicazione presso il ministero Sviluppo Economico si dichiara ottimista circa il raggiungimento degli obiettivi dell’agenda digitale europea.
Portare la banda larga a tutti gli italiani sarà un’impresa costosa: il Ministero per lo Sviluppo stima che serviranno circa 20 miliardi di euro (un costo paragonabile a quello della TAV) dei quali circa 10 arriveranno da privati (interessati comunque a zone in cui il mercato è già presente), 4,5 da Fondi Italiani per le infrastrutture e 500 milioni circa da Telecom. A tutti gli effetti una “grande opera” i cui risultati saranno tangibili già in un paio d’anni; un investimento necessario e non più rimandabile, come sottolinea nel novembre 2011 Stefano Rodotà in una lettera al presidente Mario Monti :
“Lo sviluppo dell’economia digitale è una delle condizioni imprescindibili per il superamento della crisi”. “Internet non può più essere ignorata […] Il governo si impegni concretamente per la piena implementazione di un’agenda digitale in conformità con quanto stabilito dall’Europa” e dichiara “l’accesso ad internet come diritto fondamentale della persona, come già riconosciuto da costituzioni, leggi nazionali e risoluzioni del Parlamento europeo e del consiglio d’Europa”.
Il 13 agosto il Ministro dello Sviluppo Corrado Passera annuncia che il pacchetto sviluppo di settembre punterà su green economy, semplificazione per le imprese e agenda digitale, prevedendo la digitalizzazione della pubblica amministrazione, da scuole a ospedali e incentivi per la creazione di distretti elettronici per portare le piccole e medie imprese ad aggregarsi e fare massa diventando competitive anche all’estero. Tutto ciò snellendo la burocrazia che in Italia rappresenta l’1,5 % del PIL, costa a ciascuna impresa 5182 euro all’anno e colloca il nostro paese al 87° posto nella classifica sulla facilità di fare impresa “Doing Business” della Banca Mondiale (La Repubblica, Dossier. Le misure del governo – La burocrazia, Valentina Conte, 26 agosto 2012) .
Secondo Confindustria digitale nei prossimi tre anni il contributo della internet economy passerà dal 2,1% al 3,5 % del PIL in Italia e dal 3,5% al 5,7% negli altri paesi europei. Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, dichiara che “le imprese italiane che hanno puntato sul web sono cresciute in termini di fatturato mediamente 5,7 % in più di quelle che non l’hanno fatto.” Inoltre, per quanto concerne i privati cittadini “un uso intensivo di internet può portare ad un risparmio di più di 2mila euro a famiglia” sfruttando offerte, agevolazioni e servizi.
Ovviamente tutto questo dovrà essere accompagnato da uno sviluppo e una riformulazione del diritto e della giustizia digitale.
Se alla fine degli anni novanta internet poteva ancora essere considerato un lusso, oggi, a quindici anni di distanza, internet è uno strumento necessario al benessere della persona; è uno strumento dalle enormi potenzialità (non ancora del tutto esplorate) che può, come tutti gli altri, nuocere o aiutare, invadere i nostri spazi o garantire maggiore giustizia, libertà e trasparenza.
Ma la paura non può e non deve sbarrarci la strada. È il momento di essere concreti, efficaci ed ottimisti.