Transizione energetica: i nodi della rete

Negli ultimi anni alla capacità di generazione termoelettrica si è affiancata una crescita importante di quella da fonti rinnovabili, con conseguenti problemi di integrazione nella rete. Tale processo incide profondamente su diversi aspetti della rete, a cominciare dalla sua architettura.

Il sistema elettrico italiano sta passando da un modello tradizionale, in cui la corrente prodotta procede in una sola direzione, da poche grandi centrali termiche di grande potenza, a un modello più complesso e integrato con flussi di energia elettrica in più direzioni, conseguente all’integrazione dei “piccoli” generatori da rinnovabile.

Secondo il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) entro il 2050 si dovrà raggiugere la completa decarbonizzazione; quindi, da un lato le rinnovabili avranno un ruolo centrale nel soddisfare il fabbisogno di energia elettrica, dall’altro l’elettrificazione dei consumi finali, in particolare nel settore residenziale e della mobilità, dovrà raggiungere il 55%, dall’attuale 22%. Ciò richiederà un adeguamento della rete. Secondo Carlo Cecati, ordinario di Convertitori, Macchine e Azionamenti Elettrici dell’Università degli Studi dell’Aquila, si assisterà ad una trasformazione dell’attuale sistema in uno costituito da tante micro-reti interconnesse. «In pratica si avranno micro-reti del tutto autonome ma totalmente interconnesse tra loro, in grado di essere in genere autonome, quindi autoproduttrici, ma in grado di assorbire o erogare energia da/verso il resto del sistema elettrico solo nei momenti di necessità»

Con l’aumento della produzione di energia elettrica da eolico e fotovoltaico, infatti, il sistema è esposto a periodi di sovrapproduzione (overgeneration), cioè momenti in cui la produzione di energia elettrica supera la domanda e non è possibile dirottare l’energia in esubero verso le aree limitrofe o perché la rete non dispone di una capacità di trasporto sufficiente o perché anche le aree vicine non hanno bisogno di questo surplus. Tale fenomeno si verifica soprattutto nelle ore centrali della giornata quando il solare arriva al suo picco di produzione. Viceversa, nelle ore serali, l’aumento del fabbisogno e la riduzione della produzione fotovoltaica causa il problema opposto. Questo accade perché eolico e fotovoltaico non seguono le dinamiche del fabbisogno di energia, bensì dipendono dalla disponibilità di sole o vento, che sono caratterizzati da una limitata prevedibilità e programmabilità.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è che oltre il 90% della potenza fotovoltaica installata sino al 2020 (ultimi dati Terna disponibili) ha interessato la rete di distribuzione a media e bassa tensione, tradizionalmente destinata al solo allacciamento delle utenze. Essendo le reti di distribuzione interoperanti con il sistema di trasmissione ad alta tensione, negli ultimi anni è aumentato il fenomeno di inversione dei flussi di potenza che consiste nella risalita di potenza dalla rete di distribuzione verso la rete di trasmissione, nel caso in cui la produzione della generazione distribuita superi la domanda di energia locale. Ciò sta causando nuovi problemi nella gestione del sistema elettrico, come ad esempio la riduzione dell’efficacia dei sistemi di sicurezza, che sono stati progettati per un funzionamento unidirezionale della rete.

L’inversione dei flussi di potenza contribuisce all’aumento delle congestioni locali, in particolare nelle regioni centro-meridionali e insulari caratterizzate da elevata densità di generazione distribuita rispetto al consumo elettrico locale e dalla limitata magliatura di rete. Per garantire la sicurezza del sistema, talora si è costretti a ricorrere al taglio della generazione rinnovabile in eccesso e, per evitarlo, visto anche i lunghi tempi necessari per sviluppare l’infrastruttura della rete di trasporto, sarà necessario investire in nuovi sistemi di accumulo, idroelettrico o elettrochimico, in grado di immagazzinare l’energia prodotta nei periodi di overgeneration e di rilasciarla nelle ore in cui c’è un maggior fabbisogno, come la sera.

Nell’ambito degli accumuli, gli impianti idroelettrici ad oggi sono una tecnologia più matura rispetto allo storage elettrochimico delle batterie, soprattutto per stoccare significative quantità di energia. Tuttavia, l’idroelettrico richiede investimenti più onerosi e il contesto di mercato non fornisce sufficienti garanzie a questo tipo di impianti per il rientro degli investimenti. I profitti di un impianto di pompaggio dipendono dalla differenza di prezzo dell’energia tra quando viene immessa nel sistema di pompaggio e quando viene prelevata. Affinché il differenziale di prezzo consenta almeno di compensare le perdite connesse ai rendimenti di impianto, il prezzo di vendita deve essere superiore almeno del 40% rispetto al prezzo di acquisto dell’energia. Tuttavia, la crescente penetrazione delle fonti rinnovabili ha portato a una riduzione della differenza media di prezzo, disincentivando sia l’utilizzo dei pompaggi esistenti sia la realizzazione di nuovi.

Da un punto vista tecnico, gli impianti rinnovabili non hanno la medesima capacità di quelli termoelettrici nel sostenere la stabilità dei parametri fondamentali del sistema elettrico, primo tra tutti l’inerzia di rete.

Possiamo definire l’inerzia di rete come la capacità del sistema elettrico di resistere a un guasto. Come spiega Alberto Pagnetti, Ingénieur prévisionniste presso EDF: «i generatori classici utilizzano alternatori per convertire l’energia meccanica in energia elettrica. Quando vi è un guasto su uno dei generatori connessi alla rete, immediatamente si crea un disequilibrio tra la potenza elettrica richiesta dai carichi [N.d.R. qualsiasi dispositivo collegato alla rete elettrica, che assorbe l’energia necessaria al suo funzionamento] e la potenza meccanica disponibile tra i mezzi di produzione. Nei primi momenti dopo il guasto, i carichi restano alimentati, come se non fosse successo nulla in quanto gli alternatori compensano naturalmente questo disequilibrio attingendo l’energia mancante da quella accumulata nel loro rotore. […] In seguito, sotto l’effetto della domanda di energia della rete, la velocità di rotazione degli alternatori […] diminuisce, e ciò tanto più veloce quanto l’inerzia della rete è debole». Dunque, tanto più il sistema elettrico dispone di inerzia, tanto gli altri sistemi di sicurezza, atti a ripristinare i normali parametri di rete, avranno il tempo per agire.

Gli inverter degli impianti fotovoltaici, invece, sono privi di componenti rotanti, quindi non hanno energia accumulata nei rotori. Per tale ragione, in caso di un guasto, non forniscono alcun supporto alla rete anzi, a seconda dell’entità del guasto, possono distaccarsi dalla rete, peggiorando ulteriormente la situazione. Questo, già oggi, ha impatti significativi sulle attività di gestione della rete, infatti, non è solo l’inerzia di rete a risentire degli effetti del crescente ruolo delle rinnovabili, ma anche altri parametri come la tensione, la frequenza e la potenza di cortocircuito.

Tali difficoltà saranno destinate a diventare sempre più rilevanti, infatti, secondo il PNIEC entro il 2030 dovrebbero essere installate almeno 40 GW di nuova capacità eolica e fotovoltaica; tuttavia, il piano è fermo al 2019 e, se fosse aggiornato agli obiettivi del New Green Deal, la capacità da installare entro il 2030 sarebbe di almeno 60 GW.

Questi numeri mostrano non solo la dimensione delle sfide che la rete elettrica nazionale dovrà affrontare da qui al 2030, ma anche la necessità di ingenti investimenti. Come afferma l’International Energy Agency, per ogni euro investito nelle fonti rinnovabili deve corrispondere oltre un euro investito nello sviluppo delle infrastrutture e nei servizi per trasportare l’energia prodotta.

Foto di Snapwire da Pexels

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