Quinoa. Fino a qualche anno fa, nessuno aveva mai sentito questa parola quasi omomatopeica, poi l’esplosione del mercato. Cotta o cruda, macinata, bollita, frullata, saltata, fritta, dolce o salata, diventa in breve tempo la base di tutte le ricette crudiste (e non) più di tendenza: la nuova alternativa vegana, il latte vegetale senza colesterolo, senza lattosio e ricchissimo di sali minerali, l’alimento perfetto per i bambini, la farina per i celiaci, il latte detergente con base 100% vegetale, privo di oli minerali paraffinici. Un super-food.
Quinoa. Quante se ne sono dette sul suo conto? E quanti errori sono stati fatti? Primo: si pronuncia “keen-wah” e non è un cereale.
LA PIANTA: VARIETÀ E COLTIVAZIONE
La Chenopodium quinoa è una pianta erbacea della famiglia delle Chenopodiaceae, come gli spinaci o la barbabietola; non è pertanto un cereale. Questo grande equivoco deriva dal fatto che, macinando i semi di questa pianta, si ottiene una farina contenente prevalentemente amido, caratteristica che a livello puramente commerciale, la classifica come cereale.
La più utilizzata è la Quinoa Real ma esistono al mondo oltre 220 varietà, che si differenziano per il colore del seme (rossa, bianca, gialla, marrone o nera) o per il luogo ideale di coltivazione: la Quinoa Altiplanic cresce sopra i 4.000 mt slm, la Quinoa Salar con terreno a pH alcalino e particolarmente salino, la Sea Level predilige le regioni del Cile meridionale e la Quinoa Subtropicale cresce nelle valli interne della Bolivia. Coltivabile dal livello del mare fino a 4000 mt di altitudine, sopporta temperature da -8 a 38 gradi °C, livelli di precipitazione che possono variare dai 100 mm ai 2000 mm all’anno e umidità medie comprese tra il 40% e l’88%. Bolivia e Perù detengono la produzione quasi esclusiva del seme sacro agli Inca; seguono Ecuador e Cile.
Il moderno super-food ha secoli di storia alle spalle: più di 5.000 anni fa, il popolo Inca iniziò a coltivare la quinoa sui pendii delle Ande; si riteneva che questo pseudo-cereale, che chiamavano “Madre di tutti i semi” avesse il potere di donare forza e resistenza ai guerrieri. Nel XVI secolo, il tentativo dei conquistatori europei di annientare la cultura Inca mise in serio pericolo questa pianta, che sopravvisse solo grazie ad alcune coltivazioni isolate e segrete nelle alte montagne. A riscoprire la quinoa in tempi moderni è stata la Brigham Young University, università di mormoni nello Utah, negli Anni 80, con studi sulle varietà e sulle tecniche di coltivazione.
Nel metodo di coltura tradizionale, viene seminata tra ottobre e novembre, durante il periodo delle piogge, e raccolta dopo 6 mesi. Gli steli di quinoa possono raggiungere fino a 6 mt di altezza; i semi sono tondi e hanno le stessi dimensioni dei semi di miglio o di sesamo. L’essiccazione avviene disponendo le piante in fasci e lasciandoli al sole per 7/15gg; successivamente, per separare i semi, i covoni vengono sbattuti a mano o con una trebbiatrice. La quinoa viene poi raccolta, privata dei residui della pianta, vagliata ed esposta al sole per un’ulteriore essicazione.
CARATTERISTICHE NUTRITIVE
Risulta facile inserire la Quinoa nelle abitudini culinarie giornaliere: è un alimento ricco di benefici per la salute, è leggera, versatile, e adatta ad essere consumata in qualsiasi pasto della giornata, a partire già dalla colazione, mescolata con yogurt, a pranzo o a cena con verdure, carne o pesce, oppure come ingrediente chiave di alcuni dolci. Le sue grandi proprietà nutritive, inoltre, la fanno entrare a pieno titolo nella Hall of fame delle diete ipocaloriche.
Questo pseudo-cereale è composto per il 60% circa da amido, un carboidrato complesso a basso indice glicemico, che aiuta a contenere i livelli di zuccheri nel sangue e a tenere sottocontrollo la fame; questa elevata percentuale lo rende un alimento particolarmente energizzante e adatto alle diete ipocaloriche: 100 grammi di quinoa apportano circa 370 kcal.
Il contenuto di proteine oscilla tra il 12 e il 18%. Nella sua composizione sono presenti, inoltre, due aminoacidi molto importanti per il buon funzionamento dell’organismo: la lisina e la metionina.
Sono aminoacidi essenziali, cioè molecole organiche che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare da solo e che, quindi, devono essere assunte attraverso l’alimentazione. La lisina favorisce la formazione di anticorpi, ormoni ed enzimi, ed è necessaria allo sviluppo e alla fissazione del calcio nelle ossa; la metionina ha un’azione lipolitica e partecipa alle reazioni di detossificazione dai prodotti metabolici di scarto. Per il suo elevato contenuto proteico, inoltre, la quinoa risulta, per consumatori vegetariani e vegani, una valida alternativa agli alimenti proteici di origine animale.
I grassi variano tra il 4 e l’8% e sono per lo più composti da acidi grassi polinsaturi (in particolare acido linoleico), importanti fattori protettivi verso le malattie cardiovascolari.
Un altro importante vantaggio della quinoa è il suo altissimo contenuto in fibre (8,6%) che, oltre a controllare i livelli di glicemia e ad abbassare il colesterolo, conferisce alla quinoa proprietà benefiche per l’apparato digerente.
I sali minerali presenti sono principalmente potassio, fosforo, magnesio, calcio e ferro; troviamo inoltre tre importanti vitamine: la vitamina A, la vitamina E e quelle del gruppo B.
I semi di quinoa, inoltre, possono essere utilizzati anche da chi è affetto da celiachia o ha una semplice intolleranza, in quanto privi di glutine.
Importante! I semi di quinoa sono rivestiti da un glicoside, la saponina, che li protegge dalle aggressioni degli uccelli e degli insetti. Questo sostanza, tossica per l’organismo umano in quanto provoca l’alterazione della composizione delle membrane cellulari, va rimossa prima della cottura, lavando accuratamente i semi prima di cuocerli. È possibile anche effettuare un ammollo di alcune ore, anche se non risulta strettamente necessario.
IL BOOM AGRICOLO
La popolarità della quinoa, negli ultimi anni, ha varcato i confini sudamericani e raggiunto gran parte del mondo: grazie alle sue proprietà nutritive, ai suoi benefici per la salute e al potere del marketing, la quinoa non è più un prodotto riservato alle popolazioni andine, ma è diventato un alimento ormai molto popolare nel mercato europeo e nord-americano. Si è addirittura affermato tra gli alimenti più di tendenza, tanto che, nel 2013, il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon lo dichiara cibo dell’anno: «Spero che questo Anno internazionale serva a focalizzare l’attenzione sul potenziale dietetico e economico della quinoa, sulla sua sostenibilità specialmente tra i piccoli produttori».
In poco tempo, il mercato di questo pseudo-cereale è decollato: la quinoa è stata, in termini di marketing, “il grano miracoloso delle Ande”. La domanda è aumentata vertiginosamente e la produzione ha raggiunto livelli record: un vero e proprio boom agricolo che ha visto la produzione passare da circa 27mila tonnellate nel 2008 a oltre 50mila nel 2013. Attualmente, il 90% dei semi prodotti sono destinati all’esportazione. In Bolivia (il primo produttore a livello mondiale), l’area riservata alla coltura della quinoa è passata da 10.000 a 50.000 ettari. Al di fuori dalle città, la pressione prodotta dalla domanda estera ha fatto si che, terreni che una volta producevano un vasto portafoglio di colture diverse, si siano trasformati in monocolture di quinoa: quasi tutta la produzione è in mano a singoli agricoltori e piccole cooperative locali.
Il boom del “Seme d’oro degli Incas”, che si presentava come una possibilità di arricchimento per un intero Paese, si è trasformata però in una falsa speranza di riscatto economico per le popolazioni locali. Secondo il “The Globe and Mail”, grazie alla coltivazione della quinoa le popolazioni sudamericane sarebbero state in grado di migliorare il proprio stile di vita, soprattutto grazie alla crescita delle esportazioni di questo alimento verso i Paesi esteri. Con maggiori quantità di denaro a disposizione, i contadini locali avrebbero potuto variare la propria alimentazione, acquistando a propria volta alimenti provenienti dall’estero. A posteriori, possiamo dire che la “corsa alla quinoa” ha portato lavoro al popolo andino ma ha alterato, e altera tutt’ora, gli equilibri naturali e sociali.
Dal 2006 in poi, infatti, come evidenzia il Guardian nell’articolo “Can vegans stomach the unpalatable truth about quinoa? ”, il prezzo della quinoa è aumentato vertiginosamente, fino a triplicare. L’aumento della richiesta da parte dei Paesi esteri hanno spinto i prezzi a tal punto che i contadini del Perù, per i quali la quinoa era pasto tradizionale da migliaia di anni, non possono più permettersi di mangiarla. Sul mercato boliviano il suo prezzo è diventato quattro volte superiore rispetto a quello del riso o di altri cereali.
QUINOA e LAMA
L’incremento verticale nella produzione della quinoa non ha provocato dissesti solo in campo agricolo, ma ha trascinato con sé interi equilibri ambientali e sociali.
In passato la quinoa si coltivava quasi esclusivamente sui pendii delle Ande, mentre i territori pianeggianti erano riservati all’allevamento di lama e alpaca, camelidi su cui si basava il sostentamento economico e alimentare delle popolazioni sud-americane. Ora, per massimizzare la resa, le piane andine sono state conquistate dalla “madre di tutti i semi” e gli allevamenti sono stati confinati nelle zone collinari, meno vaste, così, comunità che prima avevano migliaia di capi, oggi ne contano meno di un centinaio. “L’ allevamento dei lama, insieme alla quinoa, era la base del sostentamento del popolo andino. Gli antichi conoscevano e rispettavano questo equilibrio. Noi l’abbiamo dimenticato.” spiega un coltivatore peruviano. La reintroduzione e il potenziamento dell’allevamento integrato dei lama, indispensabili anche per il loro pelo e per la carne, garantirebbero la fertilizzazione sostenibile del suolo: le deiezioni dei camelidi, infatti, arricchiscono il terreno di sostanze organiche e ne migliorano le proprietà fisiche.
La domanda sempre crescente del mercato occidentale ha, inoltre, modificato le tradizioni agricole: per rientrare nei costi di produzione vengono spesso utilizzati prodotti chimici e fertilizzanti di scarsa qualità, che provocano l’inquinamento del prodotto stesso, del suolo, dell’aria e delle riserve d’acqua. Il terreno, così, si impoverisce di raccolto in raccolto, come dimostra il calo delle rese di produzione registrato in alcune zone: da 800 kg/ettaro a meno di 560 kg/ettaro nel 2014. L’introduzione di sostanze chimiche artificiali nell’ecosistema ha ripercussioni, inoltre, sulla biodiversità animale: la popolazione di condor, ad esempio, vittima della fertilizzazione dissennata, si sta sempre più riducendo.
Secondo la FAO, l’agenzia ONU specializzata in alimentazione e agricoltura: “The quinoa boom also poses some challenges including land degradation and reduction in cultivated varieties. More than 50% of farmers define the soil poorer compared to three years ago. This has an impact on other farming activities, for example the ratio of number of lamas to cultivated hectares has decreased in recent years. In addition, just three varieties cover more than 75% of the entire production, because they are the most demanded by the export sector. This reduction in cultivated varieties is associated with a reduction in biodiversity, even though people in the villages still appreciate the differences among the varieties.”
(“Il boom della quinoa pone alcune sfide, tra cui il degrado del territorio e la riduzione delle varietà coltivate. Più del 50% degli agricoltori definisce il terreno più povero rispetto a tre anni fa. Questo ha un impatto su altre attività agricole, per esempio, il rapporto tra numero di lama ed ettari coltivati è diminuito negli ultimi anni. Inoltre, solo tre varietà ricoprono oltre il 75% dell’intera produzione, perché sono i più richiesti dal settore delle esportazioni. Questa riduzione di varietà coltivate è associata ad una riduzione della biodiversità, nonostante chi vive nei villaggi apprezzi ancora le differenze esistenti tra le varietà”).
DISSESTO SOCIALE e MIGRAZIONE INTERNA
La popolazione sud-americana positivamente sorpresa (ma contemporaneamente impreparata) da una richiesta così massiccia di semi, ha visto nel mercato occidentale la possibilità per un veloce arricchimento economico e un riscatto sociale: è iniziata così una periodica migrazione interna che segue la rotazione colturale della quinoa, ma altera i già precari equilibri sociali.
Nella stagione della raccolta tantissimi braccianti, provenienti da ogni parte del Perù e della Bolivia, invadono le monocolture del desertico altopiano meridionale: la maggior parte di loro lavorerà come manovale dipendente, mentre i più facoltosi si spartiscono il poco territorio rimasto a disposizione sperando in grandi guadagni.
“Tutti vogliono fare soldi coltivando la quinoa. Nessuno la consuma più: è più conveniente venderla. (…) Qua vengono tanti agricoltori improvvisati dalla città, prendono terreni, seminano e poi tornano dopo sei mesi per raccogliere tutto. Senza badare alla qualità, a quanto fertilizzante usano, alle misure per non far impoverire il suolo”.
I manovali coltivano a 4.000 mt slm, dove l’aria è povera di ossigeno e il sole violento; lavorano principalmente a cottimo, sotto la spinta dei proprietari terrieri. Ma quanto guadagnano realmente i contadini? Quanto basta per mettere da parte qualche soldo, nel periodo di raccolta si arriva a 100 dollari/settimana.
Anche il cambiamento climatico fa la sua parte. Le piogge, sulla costa occidentale del Sud America si stanno facendo più intense e sporadiche: una complicazione per la coltivazione di questo pseudo-cereale.
QUALE FUTURO?
L’incredibile adattabilità della quinoa, che le consente di crescere in ambienti con alti livelli di salinità, range molto ampi di temperatura e condizioni atmosferiche estreme, rende questa pianta universalmente coltivabile. Paesi come il Canada, la Cina, gli Emirati Arabi Uniti, paesi nord-africani e persino l’Italia (uno dei maggiori importatori d’Europa, con una domanda in crescita verticale) stanno pensando di produrla a livello commerciale. I più interessati (e veloci) sembrano gli Emirati: a Dubai, botanici e agronomi stanno selezionando le varietà più adatte per crescere in un clima subtropicale arido: ci vorranno ancora anni di ricerca per avviare una eventuale coltivazione a livello commerciale, ma i risultati sembrano promettenti.
Le Ande hanno capito che il futuro potrebbe non essere così roseo: da un lato, un nuovo super-food potrebbe spodestare la quinoa, dall’altro, se anche l’attuale tendenza non si rivelasse passeggera e questo pseudo-cereale rientrasse a pieno titolo nelle diete mondiali, la maggior parte della produzione sarebbe dirottata in mercati agricoli più all’avanguardia.
Come reagirà allora l’ecosistema andino quando i prezzi della quinoa scenderanno? Il programma “Sistema Agroalimentare Integrato Quinoa/Camelidi, promozione dell’agricoltura familiare comunitaria sostenibile dell’Altopiano boliviano” gestito dalla Fao, con il sostegno della ong italiana ACRA-CCS, cerca la risposta più adatta (e adattabile) a questa domanda.
“Bisogna prevenire questo scenario di potenziale crisi», spiega il responsabile FAO Bolivia. «La soluzione richiede un miglioramento della qualità del prodotto e un potenziamento dei processi di sostenibilità, integrati con i camelidi, lama e alpaca e con altre strategie per garantire la sovranità alimentare del popolo. Il programma (…) si realizza in quaranta comunità (…) e punta a promuovere l’agricoltura familiare comunitaria sostenibile nell’Altopiano boliviano nella zona del Salar, focalizzando le sue attività sul binomio quinoa/camelidi”.
E non si tratta solo di quinoa: parlando di (in)sostenibilità alimentare il sud-America si trova contemporaneamente occupato su altri due fronti.
Il Perù ha conquistato il mercato mondiale degli asparagi, principalmente destinato ai consumatori nord-americani ed europei. Risultato? Nella regione arida di Ica, dove è concentrata la produzione peruviana di asparagi, questa corsa all’esportazione ha esaurito le risorse idriche da cui dipendono le popolazioni locali.
La soia, il prodotto alimentare prediletto della lobby vegan come alternativa ai derivati animali, rappresenta un’altra spada di Damocle. Contrariamente a quanto sostenuto dai vegetariani, salvaguardando il mondo animale si rischia di danneggiare il pianeta: la produzione di soia, infatti, è oggi una delle cause principali della deforestazione in Sud America, dove vaste distese di foreste e praterie sono stati abbattuti per fare strada a grandi piantagioni. (How Peru’s wells are being sucked dry by British love of asparagus).
Non sono questi, però, gli unici esempi di coltivazione insostenibile, purtroppo. Come affronta l’articolo “Cibo spazzatura: qualità scarsa ed emissioni alte” di Valentina Meschia, l’estensione del cosiddetto “Benessere alimentare” rischia di ripercuotersi spesso in modo immutabile sugli ecosistemi naturali.
QUESTIONE DI (IN)SOSTENIBILITÀ
Nutrire la nostra apparentemente insaziabile fame 365/365 sembra un’impresa folle: per garantire una corretta alimentazione agli oltre 7 miliardi di persone che attualmente vivono sul pianeta, il 40% della superficie terrestre viene dedicata alla crescita del cibo e il 70% dell’acqua che consumiamo è utilizzato per irrigare le coltivazioni. La sfida che il sistema agroalimentare globale dovrà affrontare nei prossimi decenni sarà riuscire ad alimentare 9.6 miliardi di persone in modo sostenibile.
La globalizzazione e la conseguente estensione dei mercati hanno diminuito l’attenzione verso la sostenibilità a favore dell’intensificazione e dell’industrializzazione dei sistemi agricoli: nei prossimi decenni, invece, dovremmo affrontare la crescita demografica sostenendo, contemporaneamente, un mercato in cui le conoscenze e le pratiche agricole assicurino la conservazione e l’utilizzo sostenibile della biodiversità, sia naturale che agricola. Uno dei primi passi è quello di pianificare colture adeguate in termini ambientali, economici e sociali, e trasferire nuove tecniche per coltivare in modo ragionevole. Serve pensare sempre di più in maniera integrata e diversificare la produzione agricola: puntare sulle monocolture in maniera esclusiva non è sostenibile e risulta dannoso per gli ecosistemi locali.
Un’alimentazione sostenibile prevede il consumo di cibo nutrizionalmente sano e, soprattutto, con una bassa impronta in termini di uso di suolo e di risorse idriche, con basse emissioni di carbonio e azoto, attento alla conservazione della biodiversità e degli ecosistemi, ricco di cibi locali e tradizionali, socialmente equo ed economicamente accessibile a tutti. Non possiamo più permetterci di seguire ciecamente le tendenze imposte dal marketing: dobbiamo analizzare in modo critico l’impatto che il nostro comportamento alimentare ha sul nostro pianeta e promuovere un’alimentazione che lo rispetti.
Ma…quando andrà di moda la sostenibilità?
Fonti
http://www.theguardian.com
http://www.lastampa.it
http://www.huffingtonpost.com
http://www.theglobeandmail.com
http://www.fao.org/quinoa-2013/en
http://www.disaa.unimi.it
http://www.repubblica.it
http://www.fao.org
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it
http://www.onuitalia.com
http://www.istat.it/it
http://ec.europa.eu/eurostat
http://blogs.worldbank.org
http://comtrade.un.org
http://www.unimondo.org
http://www.oneplanetfood.info/alimentazione-sostenibile
Grazie per l’articolo, che è molto interessante. Riguardo alla soia, bisogna però sapere che le lobby vegetariane non hanno proprio nulla a che vedere con la deforestazione del Sud America. L’80% della soia coltivata in Amazzonia è infatti destinata a diventare mangime per animali da allevamento, mentre il 93% della soia consumata dagli europei è nella forma di mangimi per animali.
http://awsassets.panda.org/downloads/wwf_soy_report_final_feb_4_2014_1.pdf
http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/animalwelfare/ITA_position_paper_animal_welfare.pdf
http://hiddensoy.panda.org/
la stessa identica cosa è successa nelle nostre campagne quando si è passati dai piccoli poderi familiari alle coltivazioni intensive, vedi i frutteti che uso di potenti veleni a partire dagli anni 60
Bellissimo articolo che condivido in pieno. La risposta alla sostenibilità sono le erbe spontanee tipiche di ogni territorio. Zero irrigazione alti contenuti nutrizionali bassissimo o quasi nullo impatto sull ambiente. Come cuoca sto cercando di valorizzare le erbe spontanee della mia regione con ricette tradizionali gustose e saporite.