«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» cantava san Francesco d’Assisi nel Cantico delle Creature per ricordare che la terra è la nostra casa comune, è come una sorella con cui condividiamo l’esistenza ed è come una madre che ci accoglie fra le sue braccia.
Papa Francesco apre così l’enciclica Laudato si’ , dedicata alla “cura della casa comune” (la Terra), in cui sottolinea che gli uomini pensando di essere proprietari e dominatori, si sono sentiti autorizzati a saccheggiare il Pianeta, facendo un uso irresponsabile delle risorse ambientali, senza rispettare la natura.
Non è il primo pontefice che tocca il problema dei cambiamenti climatici con le rispettive conseguenze. Il predecessore Benedetto XVI invitava a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e […] correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente». Per Giovanni Paolo II ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo, parte da noi e richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».
Già nel 1971, Papa Paolo VI definì la problematica ecologica «una conseguenza drammatica» dell’attività incontrollata dell’essere umano, perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte a un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».
Questi contribuiti dei Papi raccolgono le riflessioni di scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali, uniti da una stessa preoccupazione; richiamano l’attenzione anche sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, esortando a cercare una soluzione non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano. Per il Patriarca Ecumenico Bartolomeo «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi […]; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questo sono peccati». 1
Ma cosa si intende per cambiamento climatico? Da definizione Treccani: “Il concetto di cambiamento climatico implica fattori politici, giuridici, etici, economici e scientifici, andando ben oltre il significato associato alle variazioni naturali del clima, che si sono succedute sulla superficie terrestre nel corso del tempo geologico”. 2
Da questa definizione è chiaro come l’intervento dell’uomo abbia contribuito ad accelerare i normali processi climatici. Durante il corso della storia il rapporto tra umanità e ambiente è cambiato per rispondere alle esigenze del tempo. L’uomo primitivo si collocava nel sistema naturale come qualsiasi altra forma vivente, ma con la scoperta dei primi attrezzi e del fuoco si ha la sua prima imposizione sull’ambiente. Con l’avvento del fuoco si potrebbe già iniziare a parlare di inquinamento ambientale dove fumi, ceneri e polveri delle sostanze bruciate, salendo nell’atmosfera sono poi dispersi nel suolo e nelle acque.
Ma è con il XVIII secolo che ha inizio il vero cambiamento climatico come effetto diretto dell’inquinamento urbano. Con la prima rivoluzione industriale, l’uomo cambia il proprio modo di lavorare e vivere: sorgono le prime fabbriche e nascono le città industriali. Ma è la seconda rivoluzione industriale (1870 – 1914) a mettere in moto quel meccanismo inquinante che ha portato alla situazione attuale. Inizia l’era del consumismo, con utilizzo di petrolio e di suoi derivati come fonte di energia, uso di massa di automobili, introduzione di prodotti chimici nelle pratiche agricole e produzione in fabbrica.
Dalla seconda rivoluzione industriale le emissioni di gas nell’atmosfera sono diventate un problema mondiale, portando in poco più di un secolo all’attuale condizione caratterizzata da alti livelli di smog, riscaldamento globale (effetto serra), assottigliamento dello strato di ozono atmosferico e piogge acide. I grandi insediamenti e le attività umane stanno alterando i normali equilibri ambientali portando a conseguenze disastrose irreversibili. Sono stati osservati numerosi cambiamenti del clima che stanno portando a: desertificazione, deforestazione, acidificazione degli oceani, scioglimento dei ghiacci nell’Artico, innalzamento dei livelli dei mari, variazioni delle precipitazioni, dell’intensità dei cicloni tropicali e della struttura dei venti.
Da questo grafico si può notare facilmente come le emissioni di sostanze inquinanti abbiano subito un’impennata dopo il 1870. L’aumento dei gas a effetto serra inizia già dal 1750 con l’inizio della rivoluzione industriale ed è causato principalmente dalle emissioni da combustibili fossili, dall’agricoltura e dal cambio d’uso del territorio. È una chiara dimostrazione di come le attività dell’uomo abbiano influito sulla composizione dell’atmosfera portando alle attuali condizioni.
Grafico 1. Concentrazioni in atmosfera di CO2, metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) negli ultimi 2000 anni
Fonte: Intergovernmental Panel On Climate Change (IPCC), 2007,
Quarto Rapporto sul Clima (AR4) Primo Gruppo di lavoro (WG1), Capitolo 2. www.ipcc.ch
Mentre questo grafico mostra l’innalzamento della temperatura dal 1880 a oggi
Grafico 2. Temperature globali nel periodo 1880-2009 (variazioni rispetto alla media 1951-1980)
Fonte dati: Goddard Institute for Space Studies (GISS), 2007
http://data.giss.nasa.gov/gistemp/
La temperatura media del pianeta è aumentata negli ultimi 130 anni di circa 0.8 gradi centigradi.
È evidente che il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e si iniziano a vederne gli effetti. Sono stati osservati numerosi cambiamenti del clima e includono variazioni delle temperature e dei ghiacci nell’Artico, estese variazioni delle quantità delle precipitazioni, della salinità dell’oceano, delle strutture dei venti e delle tipologie di eventi estremi come siccità, forti precipitazioni, ondate di calore e intensità dei cicloni tropicali. 3
Tutto questo però, si è tradotto con un impatto negativo anche sulle popolazioni che abitano nelle aree colpite. Costrette ad abbandonare la propria casa iniziano a migrare in cerca di un nuovo luogo in cui insediarsi: se da un lato resta un problema con i suoi drammi e bisogni, dall’altro può rappresentare opportunità.
Lo scrittore e giornalista scientifico Pietro Greco fa notare che «tra le varie conseguenze dei cambiamenti climatici, emerge quello dei migranti ambientali, ai quali non viene riconosciuto lo status di rifugiati. Nonostante i numerosi strumenti internazionali volti a proteggere l’ambiente, non esiste attualmente una protezione legislativa adeguata per questa categoria di profughi, perché le cause ambientali delle migrazioni non sono a oggi riconosciute dal diritto internazionale».
Punto affrontato anche da Papa Francesco nel paragrafo 25 dell’Enciclica che ha dedicato alla “cura della casa comune”: «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo». 1
Il cambiamento climatico è una grande questione etica e politica. Un problema reale e serio che ci riguarderà per i prossimi decenni e secoli. Per evitare un conflitto dannoso tra attività umane e clima del pianeta, sono necessarie nei prossimi decenni consistenti riduzioni delle emissioni: un’impresa possibile, a costi moderati, ma che incontra molti ostacoli come l’inerzia del cambiamento tecnologico e politico, l’influenza degli interessi e la mancanza della comprensione del problema e della rilevanza delle conseguenze sulle generazioni future.
Papa Giovanni XXIII l’11 aprile del 1963, poco prima di morire per tumore, scrisse Pacem in Terris, lettera enciclica in cui sono enunciati una serie di diritti dell’uomo.
«Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse. Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale. […] Gli esseri umani hanno il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato; e quindi il diritto di creare una famiglia, in parità di diritti e di doveri fra uomo e donna. […] Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà». 4
Semplici concetti che però non sono applicati. Un caso eclatante che resta ancora in silenzio è quello dei profughi ambientali, costretti a subire gli effetti dei cambiamenti climatici e nelle situazioni più estreme ad abbandonare tutto, in cerca di un luogo più ospitale. Nonostante oggi ormai sia chiaro come l’uomo abbia avuto un ruolo importante nei mutamenti del clima, continua a non esistere una legge che tuteli i profughi ambientali.
Valerio Calzolaio, costituzionalista, nel suo articolo “Migranti, da sempre” sottolinea come «le popolazioni umane migrano, per necessità o per scelta, da milioni di anni. È così che ci siamo evoluti. Homo sapiens ha conquistato una libertà di migrare che riguarda potenzialmente ogni individuo della specie, libertà affermata dalla Dichiarazione universale dei diritti umani firmata a Parigi il 10 dicembre 1948. Ora l’Onu ha approvato, il 27 settembre 2015, 17 obiettivi di sviluppo sostenibile fino al 2030: per la prima volta un target riguarda i flussi migratori, l’obiettivo è gestire politiche migratorie sostenibili, facilitare “orderly, safe, regular and responsible migration”. Oggi occorre affrontare la questione delle migrazioni forzate, quelle politiche e quelle climatiche. Dunque siamo immigrati tutti per arrivare qui, siamo migranti da sempre! […] A causa di comportamenti umani nei paesi industrializzati da almeno quattro generazioni, stiamo obbligando persone, perlopiù sparse in specifiche aree della Terra, povere, ad abbandonare il territorio della loro vita (quando riuscissero a sopravvivere fino al momento di fuggire). Con scelte e comportamenti clima alteranti, con nostre scelte e nostri comportamenti, con scelte e comportamenti dei nostri stati (i 39 paesi dell’Annesso I del protocollo di Kyoto) abbiamo violato, violiamo e violeremo il loro diritto di restare e la loro libertà di migrare, abbiamo creato, creiamo e creeremo “climate refugees”». 5
Ma chi sono i profughi ambientali? Pietro Greco nel suo dossier “Migranti Ambientali, un problema ignorato” inizia così «Diciamo subito che già nella risposta a questa domanda i tecnici si dividono. E ancora prima si dividono sul nome e sull’aggettivo. Tanto che è possibile elencare una serie di coppie alternative più o meno analoghe: “rifugiati ambientali”, “rifugiati climatici”, “migranti climatici”. […] Insomma, sono “migranti ambientali” tutti coloro che lasciano la loro casa per sfuggire a qualche rischio, nuovo o semplicemente inasprito, che non deriva dalla società (conflitti, condizioni economiche), ma dall’aria, dall’acqua, dalla terra, dagli habitat in cui vivono». 6
Secondo la definizione della International Organization for Migration: «Migranti ambientali sono persone o gruppi di persone che, per cause impellenti di cambiamenti improvvisi o progressivi dell’ambiente che influenzano in maniera sfavorevole la loro vita e le loro condizioni di vita, sono costrette a lasciare la loro dimore abituale o che, comunque, scelgono di farlo, temporaneamente o definitivamente, spostandosi altrove, sia all’interno del loro paese che altrove». 7
Tale definizione non è corretta o comunque è da ritenersi incompleta. In genere non c’è mai (o quasi mai) una unica causa che porta un popolo a migrare. Entrano in gioco una serie di motivi, dove ai cambiamenti climatici si affiancano aspetti sociali, che sfociano in flussi migratori anche consistenti e ripetuti nel tempo. Cause ambientali e cause sociali si intrecciano costringendo uomini, donne e bambini a lasciare, contro voglia, le loro case e spesso sono i più poveri a esserne maggiormente colpiti.
Le cause sociali sono di tre tipi: guerra, economia, discriminazione (di genere, politiche, religiose). Mentre quelle ambientali sono molte e riguardano: la difficoltà a procurarsi acqua potabile e cibo per vivere; la degradazione dei campi da coltivare; disastri naturali, inondazioni, aumento dei livelli dei mari e desertificazione. Queste situazioni sono inasprite e rese più frequenti ed estreme, dai cambiamenti climatici. 6
Effetti nel mondo. In tutto il mondo, gli effetti ambientali sull’attività umana si stanno facendo sempre più evidenti. Innalzamento della temperatura, incendi, uragani, scioglimento dei ghiacci, inondazioni e desertificazioni. Dall’Italia all’Indonesia, dall’Artico al Brasile, dagli Stati Uniti all’Africa: i disastri naturali non fanno distinzione di genere, razza e disponibilità economica. Ma facciamo alcuni esempi pratici.
– Italia. L’Italia si è surriscaldata più della media globale. Se ne parla poco o non si dà la giusta importanza, ma il nostro Paese si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto a quella di tutto il pianeta. Nel 2014 si è raggiunto un nuovo record che è stato di +1.45°C rispetto al trentennio 1971-2000. In Italia, i dieci anni più caldi, dal 1880 a oggi, sono quasi tutti successivi al 2000. 8
Non solo innalzamento della temperatura, ma anche aumento delle precipitazioni che nel 2014 hanno raggiunto il 16% in più rispetto alla media. I cambiamenti climatici non sono più un’ipotesi sul futuro, né una questione che riguarda solo il Polo Nord. L’Italia di oggi ne è colpita in prima persona. Nubifragi frequenti, numerose alluvioni (come dimenticare l’alluvione del 2014 che colpì Genova, Modena, Chiavari e Senigallia) e cospicui danni all’agricoltura che hanno duramente colpito agricoltori e produttori di olio d’oliva, miele e castagne. 9,10
Secondo uno studio di ENEA, pubblicato su Nature Scientific Reports, il clima del Sud Italia rischia di diventare quello tipico del Nord Africa, con estati e inverni sempre più aridi e secchi e una crescente carenza di acqua che determinerà il progressivo inaridimento dei suoli, con ripercussioni su agricoltura, attività industriali e salute umana. Per aumento della desertificazione nelle aree meridionali, l’agricoltura ne risentirà, mentre in pianura padana, con il clima più caldo, si potrebbero coltivare olivi e limoni. Malaria e febbre gialla, malattie tipiche dei tropicali, potrebbero avere un’incidenza maggiore. Inoltre, migliaia di ettari di territorio nazionale potrebbero essere sommersi dal mare. Secondo le proiezioni realizzate dai ricercatori ENEA, sono 33 le aree costiere ad alta vulnerabilità in tutta Italia che rischiano di essere inondate, come ad esempio la laguna di Venezia, il delta del Po, il golfo di Cagliari e quello di Oristano, l’area circostante il Mar Piccolo di Taranto, la foce del Tevere, la Versilia, le saline di Trapani e la piana di Catania. Per i ricercatori «un sistema di monitoraggio con mareografi e satelliti e un’attenta programmazione delle attività antropiche che insistono sulle coste potrebbero essere di grande aiuto per prepararsi agli scenari futuri». Da questi studi emerge inoltre che l’Italia sarà soggetta a un incremento della frequenza degli eventi estremi, come ad esempio alluvioni nella stagione invernale e periodi prolungati di siccità, incendi, ondate di calore e scarsità di risorse idriche nei mesi estivi.
Oltre l’Italia, anche Spagna meridionale, Grecia e Turchia risultano maggiormente vulnerabili agli effetti del riscaldamento del Pianeta. Mentre il Nord Europa tenderà a “mediterraneizzarsi”, in particolare Europa nord-occidentale, Gran Bretagna e Scandinavia avranno estati molto più secche e inverni più piovosi rispetto a oggi. Le proiezioni realizzate attraverso modelli climatici mostrano che le aree mediterranee si espanderanno anche verso le regioni europee continentali, coinvolgendo i Balcani settentrionali e la parte sud-occidentale di Russia, Ucraina e Kazakistan, dove prevarrà un clima sempre più mite caratterizzato da un aumento delle temperature invernali. Lo stesso fenomeno potrebbe interessare anche il Nord America, in particolare la parte nord-occidentale. 11
– Artico. Negli ultimi decenni, la temperatura media dell’Artico è cresciuta il doppio rispetto alla media mondiale. Gli eskimesi dell’Alaska hanno resistito per migliaia di anni in condizioni climatiche tra le peggiori del mondo, ma adesso un nuovo nemico li sta costringendo ad abbandonare i loro villaggi: le inondazioni causate dal riscaldamento globale che fa sciogliere i ghiacci costieri e il sottoterra normalmente gelato che si trasforma in pantano. Il villaggio di Newtok, che si trova sulla costa occidentale dell’Alaska e a circa 400 miglia a sud dello Stretto di Bering, entro i prossimi cinque anni non ci sarà più. Gli abitanti dovranno andarsene, diventando rifugiati ambientali americani. Lo spostamento, non è una abitudine delle persone che vivono in Newtok che hanno praticato la pesca e la caccia sulle coste del Mare di Bering per secoli e che quindi rifiutano l’idea che dovranno scapare via dalle loro terre. Un rapporto della sezione dell’esercito statunitense specializzata in ingegneria e progettazione (USACE) ha previsto che il punto più alto del villaggio potrebbe essere sott’acqua entro il 2017. 12
– Stati Uniti. New Orleans ricorda ancora la paura e il terrore di quei giorni (tra il 23 e il 30 agosto 2005), causati da uno dei cinque uragani più distruttivi al mondo. Più di ottomila persone hanno perso la vita e i danni stimati furono superiori agli 80 miliardi. Katrina mostrò la fragilità di uno dei paesi più ricchi e avanzati al mondo, mettendo in crisi la presidenza, già duramente criticata dopo gli attacchi dell’11 settembre. Il sistema di prevenzione mostrò la sua inefficacia nel momento in cui l’intera città fu spazzata in un attimo, finendo sotto le acque. A dieci anni dal terribile disastro, sono ancora numerosi i cittadini che non hanno casa o vivono in abitazioni in cui sono ancora evidenti i danni dell’uragano.
– Africa. Il continente più povero al mondo è abituato a questo genere di eventi. Nel 2011, però, secondo le Nazioni Unite, è stata registrata la siccità più dannosa degli ultimi 60 anni. Il numero delle vittime registrato è superiore ai 10 milioni. A essere colpiti sono stati diversi paesi come Kenya, Etiopia e Somalia. Questo effetto potrebbe essere riconducibile al fenomeno de La Niña, che comporta una diminuzione delle piogge e un aumento della forza dei venti. Sono stati danneggiati raccolti e allevamento: oltre a un danno economico e di sostentamento, i cittadini colpiti non hanno potuto accedere al sistema sanitario, poiché a pagamento, in uno dei paesi più poveri del mondo.
– Piccole isole del Pacifico. Nel novembre 2012, ricercatori provenienti da Germania, Stati Uniti e Francia hanno pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters (ERL) uno studio che analizza la temperatura globale e i dati del livello del mare degli ultimi decenni confrontandoli con le proiezioni pubblicate nella terza e nella quarta relazione di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). Secondo le loro stime, il livello del mare è in aumento molto più velocemente (60%) di quanto previsto nel quarto rapporto di valutazione dell’IPCC. Questi risultati preoccupano ancora di più i piccoli Stati insulari del Pacifico e le grandi città costiere: un innalzamento del livello del mare anche di pochi centimetri, infatti, rischia di far scomparire buona parte di queste isole, che in alcuni casi hanno un’altitudine media inferiore al metro. A ciò, vanno aggiunti gli altri effetti negativi provocati dall’innalzamento del livello del mare, quali l’intrusione dell’acqua salata nelle riserve di acqua potabile e la crescente erosione.
– Le isole Carteret (Papua Nuova Guinea) sono diventate il primo sito al mondo in cui tutti i residenti sono dovuti essere spostati a causa del cambiamento climatico: si tratta dei primi rifugiati ufficiali del riscaldamento globale. Sebbene le comunità locali abbiano combattuto una battaglia ventennale, costruendo muraglie e piantando mangrovie, già nel 2005 la maggior parte delle isole è diventata inabitabile: le maree hanno distrutto i raccolti e avvelenato il terreno con il sale. Tutte le altre piccole isole del Pacifico affronteranno nel breve periodo questo stesso tipo di problemi. Lo spostamento di comunità all’interno di uno stesso Stato rischia di essere fonte di conflitti.
– Lo Stato di Kiribati fa parte della Micronesia ed è formato da tre arcipelaghi abbastanza lontani uno dall’altro: le isole che li formano sono atolli corallini che sporgono dall’acqua per pochi metri. La superficie totale è di 717 km2, ma la popolazione, circa centomila persone, occupa soltanto alcune delle trentadue isole e circa la metà degli abitanti si concentra nell’isola di Tarawa, 33.7 km2, dove sorge la capitale. Le Kiribati sono da anni minacciate dall’innalzamento del livello del mare e da tempeste sempre più intense. La maggior parte degli atolli sono molto bassi e Tarawa, l’isola principale, è oramai pericolosamente sovraffollata a causa del numero sempre maggiore di persone provenienti dalle isole esterne che cercano lavoro e protezione dai cambiamenti climatici. 13
Accanto a questi, sono ancora molti gli esempi che si potrebbero fare: dalle inondazioni in Brasile agli incendi in Indonesia e Australia; dalla siccità in Mongolia alle alluvioni in Tailandia, fino ad arrivare allo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya. Recentissimo infine, è il caso dell’Isola di Jean Charles al largo della Louisiana meridionale, inghiottita per effetto di erosione e cambiamenti climatici: fra meno di cinquant’anni l’isola non ci sarà più. Gli abitanti sono stati tutti evacuati e sono state pagate loro le spese per il trasferimento su un’altra isola: sono i primi rifugiati climatici degli Stati Uniti.
Isle de Jean Charles from the documentary LAST STAND ON THE ISLAND
Numeri. Ma quanti sono i “migranti ambientali”? Il rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel maggio 2013 afferma che nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali. Il 98% di queste persone, cioè circa 31,75 milioni, è stato lasciato senza casa da eventi legati al clima: solo le alluvioni in India hanno distrutto le abitazioni di 6,9 milioni di persone, in Nigeria di 6,1 milioni, in Pakistan, per il terzo anno di fila, hanno lasciato senza casa oltre 1 milione di abitanti. Il 2012 ha visto anche i più alti livelli di spostamenti in Oceania dal 2008, costringendo oltre 129.000 persone a scappare dalle loro case. Questo include gli spostamenti causati dalle tempeste in Papua Nuova Guinea, Fiji e Australia.
In America, 1,8 milioni di persone sono state sfollate, soprattutto a causa dell’impatto dell’uragano Sandy e alle inondazioni in seguito a La Niña in Perù e Colombia. In Europa, circa 74.000 persone sono state allontanate dalle loro abitazioni in seguito a inondazioni. L’India ha avuto il più alto numero nel mondo di sfollati nel 2012 (9,1 milioni) e il secondo più alto numero nel periodo 2008-2012 (23,8 milioni). Tuttavia, questa cifra è quasi la metà del numero in Cina, dove 49,8 milioni sono stati costretti a lasciare le loro case nello stesso periodo. Il numero di sfollati nel 2012 nelle Filippine (11,4 milioni) e Pakistan (15 milioni) è molto elevato rispetto alle dimensioni della loro popolazione. Nel 2012, ci sono stati 1,7 milioni di sfollati nei paesi meno sviluppati; 9,8 milioni negli ultimi cinque anni. Oltre 99.000 persone sono state sfollate nelle piccole isole in via di sviluppo nel 2012, per un totale di 1,9 milioni di euro in cinque anni. Il 98% di chi ha dovuto lasciare la propria abitazione a causa di disastri naturali è nei paesi più poveri. In Africa in totale sono stati costretti a spostarsi per alluvioni, siccità e altri eventi metereologici estremi in 8,2 milioni, più del quadruplo della media dei 4 anni precedenti. 14, 15 Nel mondo, in questo momento, ci sono all’incirca 250 milioni di persone che vivono e/o lavorano fuori dal loro paese: il 3% della popolazione mondiale è fatta di migranti; il 10-20 % del numero totale dei migranti è rappresentato da quelli ambientali. 8
Secondo i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) nel solo 2012, si sono verificate 310 calamità naturali che hanno portato 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. Le previsioni per il futuro sono alquanto allarmistiche. Secondo lo scienziato Mayer, entro il 2050 si raggiungeranno i 200/250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici. Ancora più pessimiste le stime del Christian Aid che prevede circa 1 miliardo di sfollati ambientali nel 2050. Tenendo in considerazione l’enorme numero, attuale e futuro, di evacuati per cause ecologiche il XXI secolo potrebbe essere definito come il “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante il termine non sia ancora riconosciuto dalle leggi internazionali. 16
Conclusioni. Come si gestisce il fenomeno delle migrazioni? È un fenomeno complesso che come abbiamo visto è composto di componenti sociali, politiche e ambientali, inscindibili fra loro. Si deve agire su più fronti puntando soprattutto sulla prevenzione dei cambiamenti climatici (come avvenuto il dicembre scorso, alla COP21 di Parigi). Esistono studi dettagliati, paese per paese, che tengono conto di tutti i parametri che consentirebbero una riduzione equa ed efficace delle emissioni. Ancora oggi l’80% della domanda mondiale di energia è soddisfatta da fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) che andrebbero sostituite rapidamente con fonti rinnovabili e “carbon free”. Bisogna puntare sullo sviluppo tecnologico per l’attuazione di tecniche di risparmio energetico valide (eolico e solare si stanno sviluppando velocemente, ma non sono ancora abbastanza). 17
A questo, altri obiettivi importanti da raggiungere sono: l’attuazione di migrazioni governate come valido strumento di adattamento ai mutamenti avvenuti o che stanno per arrivare; definire una legge che tuteli i migranti senza distinzioni, considerandoli come un unico gruppo di persone con bisogni e diritti; e agire sulle componenti sociali delle migrazioni ambientali abbattendo la povertà di cui Papa Francesco parla anche nella sua Enciclica Laudato si’, quasi sempre correlata al degrado ambientale. 8 Senza questa assunzione di responsabilità il problema migranti ambientali continuerà a ingrandirsi senza trovare una soluzione reale.
Bibliografia e fonti
1 Lettera Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune
2 Enciclopedia Treccani
http://www.treccani.it/enciclopedia/cambiamento-climatico_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/
3 Intergovernmental Panel On Climate Change (IPCC), 2007, Quarto Rapporto sul Clima (AR4) Primo Gruppo di lavoro (WG1) www.ipcc.ch
https://www.ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar4/wg1/ar4-wg1-spm.pdf
4 Lettera Enciclica Pacem in terris del Sommo Pontefice Giovanni PP. XXIII
5 Migranti, da sempre, Valerio Calzolaio – Centro studi. Città della scienza.
http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2016/01/migranti-da-sempre/
6 Migranti Ambientali, un problema ignorato, Pietro Greco – Centro studi. Città della scienza.
http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2015/11/migranti-ambientali/
7 International Organization for Migration http://www.iom.int/
8 Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Bologna ISAC-CNR http://www.isac.cnr.it/it
9 Nanni T. e Prodi F., 2008: “Cambiamenti climatici: la situazione in Italia”, Energia, n.1, 2008, pagg. 66-71.
10 Toreti A. e Desiato F., 2008: “Temperature trend over Italy from 1961 to 2004”, Theor. Appl. Climatology, doi 10.1007/s00704-006-0289-6.
11Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. ENEA Clima: ENEA, Sud Italia rischia di diventare come Nord Africa e 33 aree costiere a rischio inondazione, 2015
12 The Guardian America’s first climate refugees Newtok, Alaska is losing ground to the sea at a dangerous rate and for its residents, exile is inevitable.
http://www.theguardian.com/environment/interactive/2013/may/13/newtok-alaska-climate-change-refugees
13 Comparing climate projections to observations up to 2011, 2012 Stefan Rahmstorf, Grant Foster and Anny Cazenave. http://iopscience.iop.org/1748-9326/7/4/044035/article
14 Piccole Isole del Pacifico. Profughi Ambientali. Cambiamento climatico e Migrazioni forzate. Legambiente. http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossier_profughi_ambientali_2.pdf
15 Global Estimates 2012 – People displaced by disasters
http://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/global-estimates-2012-may2013.pdf
16 Centre for Research on the Epidemiology of Disasters. CRED http://www.cred.be/
17 Il clima del pianeta Terra, Pietro Greco