Senza evoluzione non si va da nessuna parte. La biodiversità è il materiale base dell’evoluzione. La capacità delle specie di sopravvivere adattandosi ai cambiamenti ambientali dipende dalla variabilità genetica. Il mondo della ricerca italiana e mondiale è molto attento a queste tematiche e lavora per tutelare e conservare la biodiversità. Anche Expo 2015 se ne occuperà in relazione al futuro del cibo. All’Università degli Studi di Milano-Bicocca, col patrocinio del Comitato Scientifico per Expo 2015 del Comune di Milano, il prossimo giovedì 13 marzo si discuteranno questi e altri temi in un convegno organizzato dal Master MaCSIS in collaborazione con Scienzainrete.
Intervistiamo Paolo Ajmone Marsan, professore di Miglioramento genetico animale e coordinatore scientifico del Centro di Ricerca sulla Biodiversità e sul DNA antico (BioDNA) dell’Università Cattolica di Piacenza, che analizza l’evoluzione del genoma e la diversità genetica delle specie vegetali, animali e dei microorganismi attraverso l’analisi, appunto, del loro DNA. Ajmone Marsan è noto in ambito internazionale, assieme ai collaboratori Licia Colli e Marco Pellecchia, per uno studio svolto nel 2007 con Antonio Torroni dell’Università di Pavia e Luigi Cavalli Sforza dell’Università di Stanford. Marsan e il suo team avevano intuito, studiando la variabilità genetica del DNA mitocondriale dei bovini toscani di razza Chianina e Maremmana, un collegamento tra i bovini e la civiltà etrusca e la loro comune provenienza dal Medioriente. Quello di BioDNA è uno dei pochissimi laboratori italiani attrezzati per studiare il DNA antico: ha una struttura particolare, è composto da tre moduli distinti collegati da un percorso a senso unico. Una volta entrati in un modulo non si può tornare al precedente, e una volta usciti dal laboratorio non si può rientrare fino al giorno successivo. I ricercatori indossano tute integrali bianche e mascherine tipo sala operatoria, per evitare di contaminare i campioni. La sala è a pressione positiva con un sistema di UV che si attivano di notte per degradare qualsiasi traccia di DNA rimasto.
DNA mitocondriale
Il DNA antico (aDNA) è il materiale genetico che viene estratto dopo la morte. Si può trovare in ossa, denti, corpi mummificati, resti animali e vegetali. La «macchina del tempo» che i ricercatori usano per studiare le relazioni evolutive e che cambia molto velocemente, è il DNA mitocondriale (mtDNA), un cromosoma superavvolto a doppia elica che si trova nei mitocondri, molto più corto rispetto al DNA nucleare (circa 16.000 nucleotidi contro 3 miliardi), ma con un numero di copie decisamente elevato e una natura circolare che lo rende più resistente alla degradazione. Il mtDNA animale ha un tasso di mutazione più elevato rispetto al DNA nucleare. Questo rende l’analisi del mtDNA molto efficace per stabilire le relazioni genealogiche tra individui, popolazioni e specie. Inoltre il DNA mitocondriale viene ereditato per intero in modo clonale per via materna, quindi tutta la progenie riceve la stessa sequenza di mtDNA della madre. Per queste sue caratteristiche il mtDNA può essere utilizzato come orologio molecolare per datare la divergenza tra individui e specie. Individui con sequenze identiche discenderanno da una progenitrice comune recente, mentre individui con sequenze differenti, da una più antica. In questo modo guardando la variabilità moderna è possibile ricostruire la storia evolutiva al femminile di specie, razze animali e popolazioni umane di tutto il mondo.
Professore, come si conserva la variabilità genetica nelle specie animali di interesse zootecnico?
La diversità genetica delle specie zootecniche deriva dai progenitori selvatici. Uno dei siti più importanti per la domesticazione di piante e animali e per la nascita dell’agricoltura, avvenuta circa 10.000 anni fa, è la Mezzaluna fertile. La variabilità genetica iniziale si è poi arricchita di nuove mutazioni, si è in parte persa per eventi casuali ed è ora suddivisa tra le razze che sono state create dall’uomo attraverso la selezione. In generale la variabilità genetica si origina perché la copiatura del DNA, sebbene sia molto precisa, non è perfetta e introduce delle mutazioni nella sequenza. Queste mutazioni possono essere favorevoli, neutrali o svantaggiose. Queste ultime sono progressivamente eliminate dalla selezione naturale. Quelle vantaggiose si diffondono se aumentano la capacità di sopravvivenza, adattamento e fertilità degli animali. Il destino di quelle neutrali dipende invece dal caso. Se non ci fosse variabilità genetica non ci sarebbe biodiversità, e la biodiversità è il risultato della variabilità genetica.
Oggi la perdita di diversità biologica e l’estinzione delle specie procedono a una velocità di dieci volte superiore a quella normale…
Abbiamo stime ancora più allarmanti. Se parliamo di specie selvatiche, la velocità di estinzione è addirittura di cinquanta volte superiore a quanto avvenuto in passato. Queste stime sono basate sulle osservazione di vertebrati, facili da monitorare. Ma bisogna ricordare che la biodiversità comprende tutte le specie viventi, dagli animali superiori ai microorganismi del terreno. La perdita di biodiversità porta alla distruzione di una parte del patrimonio biologico del pianeta e a una destabilizzazione degli equilibri tra specie che si sono evoluti nel corso di milioni di anni.
Cosa comporta la perdita di biodiversità delle specie zootecniche?
Le specie domestiche sono un caso particolare. Sembra strano parlare di estinzione quando circa 1 miliardo di bovini e 17 miliardi di polli sono allevati sul nostro pianeta. Il problema è un altro, cioè che gli animali allevati stanno diventando sempre più omogenei dal punto di vista genetico a causa della selezione e dell’allevamento su grande scala di un numero molto limitato di razze. Il 10% delle razze che esistevano nel 1900, razze adatte a vivere in condizioni ambientali difficili e a cibarsi con sottoprodotti, si è estinto. Nello stesso periodo 1 razza ogni 3 è diventata a rischio di estinzione e su 1 razza ogni 3 non ci sono informazioni attendibili sullo stato di pericolo. Oggi col sistema di agricoltura industriale abbiamo polli con geni molto simili, abbiamo una razza di vacca da latte predominante, la Frisona, che non ha origini italiane, ma è molto produttiva e per produrre deve essere nutrita con alimenti ricchi di energia come il mais della pianura padana. Le cause della perdita di razze locali sono diverse. Nei paesi sviluppati sono principalmente di carattere economico e hanno determinato il progressivo abbandono delle aree agricole marginali e la sostituzione delle razze locali con razze più produttive, adatte a un allevamento di tipo industriale. Nei paesi in via di sviluppo le motivazioni sono altre. In alcuni casi le razze locali sono state incrociate in modo non controllato con le razze industriali non adatte a sopravvivere in ambienti tropicali. Le guerre, la povertà, l’instabilità politica e i cambiamenti climatici hanno fatto il resto. Intendiamoci, l’allevamento industriale è necessario per nutrire con proteine ad alto valore biologico la popolazione mondiale in continua crescita. Ma le razze locali sono altrettanto importanti perché conservano delle varianti genetiche non presenti nelle razze industriali e che devono essere conservate per il futuro. Se dovessero cambiare rapidamente le condizioni ambientali, in assenza di biodiversità, rischieremmo una crisi globale.
Cosa si può fare per conservare la biodiversità?
Il modo migliore per conservare la biodiversità è di promuovere le razze locali nel loro ambiente di origine, valorizzando i prodotti tipici e il modo con cui sono ottenuti. In questi giorni stiamo rispondendo a una call di Horizon 2020 proprio su questo tema. Vogliamo studiare le caratteristiche molecolari e nutrizionali (es. composizione in acidi grassi omega 3, utili per l’uomo) dei prodotti tipici per dare loro un valore aggiunto e per poterne dimostrare l’autenticità. In altre parole vogliamo proporre delle strategie per permettere agli allevatori di razze minori di sopravvivere anche in assenza di sovvenzioni. Nel caso più estremo si possono conservare gameti e cellule attraverso il congelamento, ma una nuova e più economica procedura di conservazione prevede la disidratazione. Nell’ambito di un progetto europeo che sta studiando come conservare la biodiversità zootecnica (Nextgen) un gruppo di ricerca italiano condotto da Pasqualino Loi dell’Università di Teramo studia proprio la disidratazione di cellule e gameti che possono essere conservati a temperatura ambiente per diversi anni per poi essere rigenerati.
Ricerche in corso presso il Centro di Ricerca sulla Biodiversità e sul DNA antico – BioDNA dell’Università Cattolica di Piacenza.
Una delle ricerche in corso, in collaborazione con l’archeologo Maurizio Buora e Michele Morgante e Raffaele Testolin dell’Università di Udine, riguarda quattro reperti di esemplari di bovini del II secolo d.C rinvenuti nello scavo Muris di Moruzzo, dalle parti di Udine. Una sepoltura anomala perché i bovini sono stati sepolti interi, non macellati. I ricercatori suppongono a causa di una malattia. Il Centro di Ricerca sulla Biodiversità e sul DNA antico, sotto la supervisione scientifica di Paolo Ajmone Marsan e di Licia Colli sta analizzando il DNA dei bovini per comprenderne l’origine e alcune caratteristiche fisiche. In realtà i ricercatori sperano anche di identificare il patogeno responsabile della morte degli animali. Con le nuove tecniche molecolari si possono sequenziare a costi ridotti parti del genoma nucleare di esemplari antichi, senza limitarsi al solo DNA mitocondriale. Fino a ora i ricercatori sono riusciti a estrarre da ossa, denti e depositi di tartaro dentario materiale genetico antico sufficientemente integro per poter essere analizzato e hanno sequenziato un breve tratto della regione di controllo del DNA mitocondriale. Nelle fasi successive useranno tecniche di sequenziamento di nuova generazione presso i laboratori dell’IGA-Istituto di Genomica Applicata di Udine per ricostruire l’origine, autoctona o meno, e la morfologia dei bovini antichi, confrontandone il DNA con quello delle razze moderne.
La bufala campana è la protagonista di un’altra ricerca di BioDNA. Grazie a un gruppo di scienziati italiani, che ne ha costituito il nucleo fondatore, è nato un consorzio internazionale coordinato da John Williams, direttore del Parco Tecnologico Padano, con lo scopo di sequenziare il genoma completo del bufalo (Bubalus bubalis). Il consorzio include Brasile, Stati Uniti e diversi paesi in Asia e in Africa. Il bufalo domestico, water buffalo, comprende due sottospecie, il river buffalo e lo swamp buffalo. La nostra razza mediterranea, quella che produce la mozzarella di bufala tanto discussa ultimamente, appartiene alla sottospecie river, domesticata nella parte occidentale dell’India e ora diffusa in Europa, Africa e Sudamerica. La sottospecie swamp è stata invece domesticata nel sud-est asiatico, è distribuita in tutta l’Asia orientale e viene allevata soprattutto per il lavoro nei campi. Oggi diversi paesi, tra cui la Cina, stanno importando il river e lo stanno incrociando con lo swamp per incrementare la produzione di latte. La sequenza completa del genoma del bufalo sarà pubblicata nei prossimi mesi grazie al lavoro coordinato di tutti i componenti del consorzio.