Il linguaggio è uno dei tratti più importanti che distingue Homo sapiens dalle altre specie. Il suo utilizzo permette la comunicazione complessa tra gli individui.
Comprendere l’evoluzione di una lingua parlata non è compito facile. I cambiamenti non lasciano tracce evidenti e, per riuscire a capirli, i linguisti utilizzano metodi indiretti, come l’analisi degli scheletri fossili o lo studio della laringe e la sua evoluzione nel tempo.
Le lingue umane potrebbero essere emerse con la transizione di Homo sapiens verso il comportamento umano moderno. Il cambiamento più grande del linguaggio fu il passaggio da una comunicazione orale primitiva ad una più strutturata con grammatica e sintassi. Non è chiaro se questo tipo di comunicazione si sia sviluppato gradualmente o sia apparso all’improvviso. Le prove suggeriscono che ciò sia avvenuto in Africa orientale fra i 50 e i 100.000 anni fa.
Molti studiosi ritengono che questo passaggio sia concomitante ad alcuni cambiamenti biologici del cervello. È stato ipotizzato che un gene, il FOXP2, potrebbe aver subito una mutazione e quindi aver permesso l’inizio di una comunicazione più evoluta.
Le aree cerebrali deputate al linguaggio sono quelle di Broca (coinvolte in scopi cognitivi e percettivi, relative all’elaborazione del linguaggio) e di Wernicke (le cui funzioni permettono la comprensione del linguaggio), unite tra loro da un percorso neurale. Entrambe le aree sono presenti anche negli altri primati, ma con funzioni diverse. Questo suggerisce che il centro del linguaggio in Homo sapiens abbia subito una modifica e che l’insieme degli organi per il linguaggio parlato, compresa la laringe, si sia sviluppato dopo la separazione dagli altri primati.
Allo stato attuale i linguisti si trovano d’accordo nel sostenere che le popolazioni umane usano lingue di complessità simile. Si differenziano nei termini del proprio lessico ma tutte hanno la grammatica e la sintassi necessarie per esprimere tutti i concetti che i parlanti vogliono esprimere.
La comunicazione si avvale di un ampio vocabolario evoluto nel tempo. La lingua inglese ha un vocabolario di circa 500.000 lemmi; circa il doppio della lingua italiana che va da 160.000 a 250.000 unità lessicali.
In italiano le parole più utilizzate riducono il vocabolario a circa 7.000 lemmi, cui si aggiungono vocaboli specifici a seconda della situazione comunicativa o l’ambito di lavoro.
Ma nonostante il numero molto diverso di vocaboli, ciascuna lingua permette una capacità espressiva efficace non influendo sulla comunicazione complessa.
In futuro avremo dei cambiamenti, sicuramente delle riduzioni in merito alla quantità di vocaboli che utilizzeremo ma anche al numero di lingue parlate, andando quindi a diminuire la biodiversità linguistica.
Come dice il linguista, filologo e lessicologo Francesco Sabatini, Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca “Le lingue per fortuna cambiano, dobbiamo però evitare di stravolgere rapidamente le costruzioni, altrimenti rischiamo di non capirci più. L’evoluzione della lingua è naturale, ma oggi la velocità ha invaso tutti i processi. Bisogna prestare attenzione a mantenere il contatto sia con la tradizione precedente, sia con la società in cui viviamo”.
Il tema della riduzione nel linguaggio e delle lingue è molto sentito, soprattutto quando è inteso come impoverimento della nostra capacità lessicale, che viene visto come minor capacità di pensiero e espressione; e quando è relativo alla perdita di ceppi linguistici, che favorisce la scomparsa di identità delle rispettive popolazioni, e conseguentemente alla perdita di biodiversità culturale.
Nonostante l’evoluzione ci abbia permesso di avere un apparato fonetico unico, ciò che permetterà di evolvere la nostra modalità di comunicare al mondo e con il mondo sarà la cultura, tramite un linguaggio sempre in cambiamento ma che deve far attenzione a non perdere la complessità e la ricchezza tipica di ogni lingua.