Negli ultimi anni le fake news sono entrate a far parte della nostra quotidianità e almeno una volta tutti, scrollando sulla home di Facebook, si sono soffermati su un titolo allarmante che prometteva di rivelare qualcosa di inaspettato e sensazionale. Alcuni avranno cliccato sul link e, dopo aver constatato che si trattava solo di informazioni prive di fondamento, hanno chiuso la pagina passando oltre; altri, invece, avranno condiviso la notizia con amici e parenti facendo partire una lunga e inarrestabile catena di condivisioni. Da Facebook ai gruppi di Whatsapp, le fake news hanno sicuramente trovato un terreno rigoglioso per moltiplicarsi e diffondersi ancora più facilmente, aumentandone la pericolosità, perché si tratta di informazioni false che, soprattutto durante una pandemia, possono causare allarmismi e indurre le persone ad assumere atteggiamenti dannosi per la propria salute.
Non bisogna sicuramente incolpare solo i social perché le fake news non sono di certo nate su internet, sono sempre esistite anche se chiaramente non riuscivano a raggiungere così facilmente il pubblico.
Le fake news sono una minaccia per tutti, non solo per la scienza, ma diventano sicuramente più pericolose quando in gioco c’è la salute. L’esempio di Andrew Wakefield, il medico che nel 1998 aveva pubblicato su The Lancet un articolo in cui sosteneva che ci fosse una correlazione tra un vaccino trivalente per morbillo, pertosse e rosolia e autismo, ne è la prova tangibile. Nonostante si trattasse di uno studio pieno di dati falsificati che ha costretto la rivista a ritirarlo dopo poco tempo, le affermazioni del medico, radiato dall’albo proprio per le sue affermazioni sui vaccini, hanno cominciato a circolare ovunque portando l’opinione pubblica a dubitare dell’efficacia dei vaccini e ad alterare la percezione pubblica nei confronti della scienza consolidata.
In effetti quando a diffondere fake news sono esperti che fanno parte della comunità scientifica, la fiducia del pubblico nella scienza può vacillare. Uno dei complotti più dibattuto e condiviso è sicuramente quello del virus creato in un laboratorio di Wuhan, che contrasta con le prove offerte dalla comunità scientifica. Gli scienziati hanno già ampiamente dimostrato che questa ipotesi è poco plausibile perché il virus ha un’origine naturale: molto probabilmente deriva dai pipistrelli e, facendo un salto di specie, è passato all’uomo. Anche Nature ha ribadito che le prove dimostrano che non c’è stata nessuna mutazione genetica deliberata perché, se ci fosse stata, si sarebbero trovati innesti di altri virus conosciuti nella sequenza del SARS-CoV-2.
Se a sostenere queste idee e creare allarmismo è un premio Nobel come Luc Montaigner, la situazione diventa ancora più grave. Dare visibilità a uno dei pochi scienziati a sostenere questa teoria complottista fa perdere di credibilità al resto della comunità scientifica, se non fa sospettare addirittura che questa sia la vera opinione della scienza e che qualcuno stia cercando di nascondere la verità a tutti i costi per guadagnarci qualcosa. Secondo il premio Nobel francese, il virus sarebbe un prodotto da laboratorio creato per sbaglio nel tentativo di trovare un vaccino contro l’HIV. La sua intervista, rilasciata per un canale francese, è stata tradotta anche in italiano e caricata su YouTube prima di essere rimossa, anche se il numero delle visualizzazioni aveva già raggiunto il milione.
Questo dovrebbe chiarire il fatto che nella scienza non esistono autorità, perché anche se hai vinto un premio così ambito, non significa che tutto quello che dici possa diventare necessariamente verità scientifica. Gli scienziati lo sanno benissimo e conoscono perfettamente il metodo scientifico: si osserva, si formula un’ipotesi e si cerca di verificarla; se i dati che ho trovato sono corretti allora la mia teoria è valida, se non lo sono dovrò fare altri tentativi. Nella scienza, quindi, non servono titoli e premi, ma prove. Dare spazio a una voce fuori dal coro solo per creare scalpore e attirare pubblico è uno dei problemi dell’informazione generalista e contribuisce solo a far emergere teorie che non sono condivise dalla gran parte della comunità scientifica.
Il caso Montaigner è emblematico, ma non è la prima volta che questa teoria ha incominciato a circolare. Su Twitter, infatti, è stato riportato a galla un vecchio servizio del 2015 di TGR Leonardo che si riferiva ad un supercoronavirus, trovato nei pipistrelli e nei topi, studiato nei laboratori cinesi e trattato in un articolo su Nature. Il video è stato condiviso con toni allarmistici diffondendo ancora una volta l’idea che il virus sia stato creato dai cinesi, ma ancora una volta si trattava di una bufala, smentita anche dal programma stesso.
Per approfondire il meccanismo delle fake news abbiamo intervistato Massimo Polidoro, giornalista scientifico, scrittore e segretario nazionale del CICAP.
Quando ormai una fake news viene continuamente riproposta in tutti i modi, è difficile far cambiare idea al pubblico generalista che si fida perché l’ha detto lo scienziato o il politico di turno che ha votato alle elezioni.
Un altro fattore da considerare è di natura psicologica e difficile da sradicare. L’uomo, sostanzialmente, fa fatica ad accettare che la natura sia così imprevedibile e che un virus possa semplicemente diffondersi cogliendoci del tutto impreparati. È sicuramente più facile trovare un capro espiatorio su cui riversare tutte le colpe piuttosto che riconoscere l’incertezza.
Roberta Villa, giornalista e divulgatrice scientifica che in questi mesi ha dimostrato che un contatto tra scienza e pubblico senza porsi da esperti che non possono essere contraddetti è possibile, si è occupata su Instagram di un altro concetto fondamentale che soprattutto durante una pandemia non ci consente di ragionare lucidamente e valutare con criterio le notizie: i bias cognitivi. In un periodo di incertezza è difficile prendere decisioni e i bias cognitivi non ci aiutano perché sono dei pregiudizi elaborati sulla base di informazioni parziali, non connesse logicamente tra di loro e che non permettono di valutare qualcosa in maniera “oggettiva”.
Non stupisce che il pubblico senta il bisogno di sapere con certezza da dove abbia avuto origine il Covid-19 e tenda a valutare l’ipotesi dello scienziato cinese che si è fatto sfuggire il virus da un laboratorio come vera, nonostante le prove dimostrino il contrario. Le persone hanno anche bisogno di notizie rassicuranti e se uno studio cinese, pubblicato su Nature Medicine, conferma che i pazienti guariti da Covid-19 producono anticorpi contro il virus, ecco che gli stessi scienziati tanto criticati vengono immediatamente rivalutati in maniera positiva. I bias cognitivi funzionano proprio in questo modo e ci costringono ad assumere degli atteggiamenti contraddittori alimentati da pregiudizi o semplicemente dall’umore del momento.
Gli aspetti psicologici delle fake news non vanno certamente trascurati. Bisognerebbe assumere un atteggiamento critico e scettico quando si entra in contatto con qualsiasi prodotto comunicativo, ma questo è certamente dispendioso non solo perché c’è bisogno di tempo per verificare le fonti, ma anche perché, da un punto di vista psicologico, significa mettersi in discussione. A volte è più semplice credere ciecamente a tutto piuttosto che sforzarsi a livello cognitivo.
Oltre ad una pandemia, stiamo assistendo anche ad un’infodemia, termine coniato dalla stampa per indicare una circolazione eccessiva di informazioni, quasi come se anche le notizie fossero diventate un virus da cui difendersi. Tutto questo non aiuta di certo a destreggiarsi tra fonti affidabili e fake news e, in un periodo in cui si fa a gara nel pubblicare per primi, anche le testate che dovrebbero essere affidabili possono commettere degli errori e divulgare informazioni sbagliate. L’esempio dell’articolo pubblicato su La Repubblica in cui si afferma che il virus si diffonde nell’aria dimostra che prima di informare bisogna verificare sempre le fonti perché altrimenti la propria credibilità incomincia a vacillare.
Per cercare di arginare la situazione, Palazzo Chigi ha addirittura istituito una Task Force contro le fake news che fin da subito è stata oggetto di polemiche e dibattiti perché in molti l’hanno etichettata come un organo di controllo che avrebbe limitato la libertà di stampa. Niente di più falso a mio avviso. Fermare tutte le fake news è sicuramente impossibile, ogni giorno ne spunta una nuova, ma la task force ritengo che potrà essere utile come strumento di monitoraggio per favorire la buona informazione e sviluppare nei cittadini il senso critico che evita di cadere in queste trappole.
Una cosa è certa, la scienza è fatta di probabilità supportate da dati verificati fino a prova contraria. È bene non prendere tutto per vero e accettare che la scienza è fatta di incertezze che diventeranno più chiare solo con il tempo e assemblando insieme tutti i pezzi che ci daranno un quadro completo sul Covid-19. E in questo contesto il ruolo delle fake news è solo quello di rendere ancora più confuso questo enorme puzzle.