Lo strumento del “coding” a scuola permette di formare cittadini scientificamente consapevoli.
La programmazione e il pensiero computazionale a scuola sono diventati un fenomeno di moda, negli ultimissimi anni si sente spesso parlare di “coding” e anche nei testi scolastici è entrato prepotentemente con intere sezioni dedicate ed è tema anche negli esami di abilitazione dei nuovi insegnanti.
Guardando oltre le mode, però, occorre pensare al “coding” con metodo e rigore proprio come è la programmazione stessa.
Cosa significa insegnare “coding”?
Più propriamente si tratta di insegnare i principi del pensiero computazionale.
Il coding è questo, il codice è questo. Un algoritmo è una sequenza finita di passi elementari e non ambigui, il software ben progettato sfrutta le risorse dell’hardware con il minor dispendio di energia possibile, ottimizzando le risorse per la maggior efficienza possibile.
Il coding aiuta a preparare una forma mentis che sviluppa, tra le altre, la capacità di risoluzione di problemi, la capacità di ridurre la complessità in passaggi semplici, la capacità di andare dal particolare al generale e viceversa, il riconoscimento di pattern con rigore metodologico.
Rigore che non deve essere inteso come chiusura alla creatività, anzi, il vincolo accende l’ingegno. La capacità di superare limiti e imposizioni, pochi elementi base che permettono di disegnare il mondo, per mezzo di software, progettarlo e “programmarlo”, permette di vedere più in là del proprio orizzonte.
Un’altra materia?
No, decisamente no, assolutamente no.
La programmazione, il pensiero computazionale non deve essere una materia in più ma uno strumento in più. La computazione è il modo in cui oggi si fa scienza: si analizzano i dati, si scrivono i risultati, si conservano le ricerche, si disegnano modelli,…
E allora perché non utilizzare questo strumento da subito come strumento di ricerca, anche individuale, nello studio?
Utilizzare lo strumento “coding” nella matematica, nelle scienze, nella storia, nella geografia, nell’arte, nel disegno, nella letteratura, in tutte le materie senza distinzioni tra umanistiche e scientifiche perché il pensiero sia libero di circolare e la creatività rimanga sempre viva.
E l’errore?
Uno script funziona o non funziona, fa ciò che si è progettato oppure no, è più o meno efficiente.
L’errore, a volte, porta a innovazione altre, invece, a un sano debug da fare.
L’errore è ben accetto, anche quando porta a un debug, perché un debug è come risolvere un rebus o svolgere un’indagine, è divertente e permette di rivedere i propri passi ed è utile farlo con qualcuno, il confronto vince sempre.
A volte l’errore è creativo e porta a risultati inaspettati.
Come non vedere in questa ricerca, in questa analisi un parallelo con il metodo scientifico?
Con la necessità di rimettere sempre in discussione quanto acquisito sulla base di nuove scoperte o grazie a nuovi metodi di indagine?
L’errore fa crescere, l’errore apre nuove strade di ricerca, l’errore può essere una risorsa.