La lingua è lo strumento più potente di rappresentazione simbolica, alla base di tutte le funzioni concettuali, attraverso cui l’individuo partecipa, come membro attivo, alla vita della sua comunità. Le lingue sono soggette a cambiamenti, derivanti da eventi storici e sociali che possono stimolarne o ostacolarne lo sviluppo.
L’attuale complessità sociale, determinata da fenomeni come la globalizzazione e il massiccio sviluppo della rete, sta inevitabilmente influenzando le lingue. La comunicazione mediata dal computer ha profondamente modificato le modalità di costruzione e fruizione del testo: in particolare in italiano, la diamesica opposizione tra parlato e scritto, già messa in discussione con lo sviluppo dei mass media nel corso del Novecento, ha raggiunto confini sempre più labili con i nuovi media. L’avvento dei social network è stato sicuramente più traumatico per l’italiano che per altre lingue: a discapito dell’ipotassi e di periodi complessi tipici della tradizione scritta, Twitter e Facebook sono caratterizzati da tempi brevi, commenti in tempo reale e, di conseguenza,una scrittura meno programmata e più immediata, simile al parlato. In particolare, l’Accademia della Crusca fa notare come la rete abbia contribuito a una modernizzazione dell’italiano, con effetti benefici su alcuni settori, come la pubblica amministrazione. Lo ha insomma snellito, rendendolo più comprensibile al vasto pubblico, non necessariamente composto da letterati, burocrati e scienziati.
Tuttavia, testi meno complessi dal punto di vista semantico e sintattico possono aumentare il “rumore”, ovvero l’ostacolo comunicativo che impedisce la ricezione del messaggio. I testi nella rete appaiono come frammenti isolati, comprensibili solo in un determinato contesto, perdendo la coesione e la coerenza che determinano l’autonomia di un testo scritto. Minor tempo e poco spazio comportano una destrutturazione della scrittura, che passa attraverso una drastica semplificazione della punteggiatura tradizionale, a favore delle emoticon, faccine capaci di rappresentare una particolare punteggiatura espressiva. Il successo delle emoticon è da ricondurre essenzialmente a tre diversi aspetti: sono immediate, connotano la conversazione scritta dal punto di vista emozionale e aiutano ad uscire da un impasse, quando non si trovano le parole giuste e si vogliono evitare fraintendimenti. Ma il loro massiccio utilizzo può essere sintomo di un ulteriore impoverimento della lingua e della sempre più frequente incapacità di comunicare per trasferire pensieri e emozioni attraverso le parole.
E a proposito di lessico, le lingue non sono sistemi a se stanti ma comunicano continuamente tra loro, con prestiti, calchi e derivazioni. L’italiano, però, tende oggi ad accogliere parole straniere, e in particolare inglesi, nella loro forma originale, senza alcun adattamento. Non solo, spesso le parole inglesi hanno il sopravvento, sostituendo completamente (e inutilmente) i lemmi italiani: se di alcune non si può più fare a meno, come “week-end” al posto di “fine-settimana” o di tutti i termini legati all’informatica (computer, mouse), è incomprensibile il ricorrere a tutti i costi a termini stranieri per esprimere concetti semplici. Si è davvero più brillanti ad essere “smart” o più forti, essendo “strong”? Questa tendenza a farcire discorsi di varia natura con termini inglesi sta coinvolgendo istituzioni, media, imprese. Li si adopera talvolta in maniera scorretta, incappando in errori di pronuncia e ortografia.
La lingua italiana invece andrebbe preservata come patrimonio di cultura e soprattutto di idee, sfumature e significati esprimibili attraverso un suo uso consapevole e ragionato.