Clonazione. Dalle scimmie all’uomo: meglio regole o divieti?

“Oggi abbiamo gli strumenti per clonare l’uomo, ma questo non significa in automatico che sia una via praticabile”. È il parere di Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia, diffuso dall’ANSA. L’argomento clonazione umana è tornato alla ribalta a seguito dell’ultimo passo compiuto dalla tecnologia biomedica: la nascita di due scimmiette clonate presso l’Accademia delle scienze cinese di Shanghai. Lo studio è da poco stato pubblicato sulla rivista Cell. Ma che cos’è un clone? Si tratta di un gemello omozigote nato in un momento temporale diverso, quindi che avrà età diversa. Un concetto comprensibile a chiunque abbia conosciuto o visto due gemelli identici, nati invece insieme e coetanei.

Da un punto di vista tecnico la metodica del trasferimento di nucleo di una cellula somatica, quindi differenziata, all’interno dell’ovocita di un donatore (SCNT, Somatic cell nuclear transfer) non è una novità ed è applicabile a qualsiasi mammifero. Dal primo successo ottenuto con la nascita della famosa pecora Dolly nel 1997, sono stati clonati topi, gatti, cani, maiali, bovini e numerose altre specie, 23 in tutto. Più aumenta la complessità della specie, però, più è difficile riuscire. Occorre un numero crescente di tentativi per dare vita a un piccolo clone. Qualche dato per capire meglio. Nei topi si ottiene una nascita ogni 20-30 tentativi circa. Per far nascere i due piccoli macachi femmina Zhong Zhong e Hua Hua (Macaca fascicularis), invece, sono stati necessari complessivamente 417 ovociti da cui sono stati creati in vitro 301 embrioni. Solo 260 sono stati trasferiti e hanno dato origine a 28 gravidanze in 63 scimmie madri surrogate (vedi tabella 1).

Tabella 1

Statistiche di sviluppo di embrioni con tecnica SCNT

(Fonte: Cell DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.cell.2018.01.020)

Tipo di cellula donatrice

di DNA

Ovociti Embrioni

SCNT

Embrioni trasferiti Madri surrogate Gravidanze Nati vivi Piccoli sopravvissuti
Fibroblasti fetali 127 109 79 21 6 2 2
Cellule somatiche 290 192 181 42 22 2 0

 

Le cause di questo fenomeno non sono ancora state chiarite. “Ci piace credere che sia il prezzo della complessità”, commenta il noto genetista e comunicatore Edoardo Boncinelli dalle pagine del Corriere. In realtà “è molto più probabile che questa particolarità sia da mettere in connessione con il numero di figli per cucciolata: meno cuccioli più protezione”, spiega. La vera novità dello studio cinese sta nell’aver messo a punto un metodo che supera questa maggiore protezione.

“I ricercatori hanno trovato il modo per evitare i problemi di riprogrammazione genetica, che rappresentavano il grande ostacolo, e che erano all’origine di aborti e fallimenti”, spiega all’agenzia stampa Adnkronos Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’università degli Studi di Roma Tor Vergata. Si è ora in grado di riattivare gli interruttori molecolari che, nei mammiferi superiori, bloccano la moltiplicazione della cellula uovo dotata di DNA del donatore da clonare, e consentire così che l’embrione si sviluppi. In particolare è risultato efficace estrarre il DNA dal nucleo di cellule fetali (fibroblasti) rispetto a quello di cellule somatiche differenziate.

Qiang Sun, che ha diretto lo studio, ne motiva così le finalità: “sarà possibile produrre scimmie clonate con lo stesso patrimonio genetico tranne che per un gene manipolato. Questo porterà a mettere a punto modelli reali non solo per le malattie cerebrali che hanno una base genetica, ma anche per il cancro, per patologie immunitarie o metaboliche e ci permetterà di testare l’efficacia dei farmaci per queste malattie prima dell’uso clinico”.

Anche Gilberto Corbellini, esperto di bioetica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ritiene che il sofisticato esperimento delle scimmie cinesi “potrà avere applicazioni utili per lo studio delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. La clonazione non dovrebbe essere condannata né tanto meno vietata, ma valutata caso per caso”, aggiunge.

Per quanto noto alle cronache già nel dicembre del 1998, quasi vent’anni fa, un gruppo di scienziati della Corea del Sud avviò la clonazione di un embrione umano ma si fermò per motivi etici alle prime 4 cellule in provetta, senza tentare il trasferimento in un utero di donna.

Per ora non tutti gli Stati hanno una legislazione in materia di clonazione umana, anche se serpeggia una generale disapprovazione dovuta anche all’impatto emotivo di una simile idea. Negli Stati Uniti, per esempio, non esiste una legge federale. I singoli Stati dell’unione hanno regolamentato in modo più o meno restrittivo queste ricerche, in alcuni casi proibendole del tutto.

“In Italia chi volesse provare rischierebbe 10 anni di carcere e l’interdizione dai pubblici uffici”, spiega ancora Redi.

All’interno della Convenzione per la protezione dei diritti umani e la dignità degli esseri umani dell’Unione Europea (UE), il protocollo aggiuntivo del 1998 stabilisce chiaramente che “ogni intervento che cerchi di creare un essere umano geneticamente identico a un altro essere umano, vivo o morto, è proibito”. Ancora più esplicita la risoluzione del 2005 delle Nazioni Unite (UN) che invita gli Stati membri “a proibire tutte le forme di clonazione umana, dal momento che sono incompatibili con la dignità umana e la protezione della vita umana”.

Il problema di base, comunque, sembra essere che non c’è un’etica condivisa della ricerca a livello mondiale. Quindi non possiamo escludere che già ora qualcuno stia proseguendo nei tentativi di clonare l’uomo, contando sul fatto che le probabilità di successo non sono più così basse. Per farlo, in ogni caso, è necessaria la collaborazione, dietro compenso, su coercizione o magari inconsapevole, di un cospicuo numero di donne.

Tags: , , , , ,

Ancora nessun commento.

Lascia una risposta