Il 27 Luglio avranno ufficialmente inizio le Olimpiadi 2012 che si svolgeranno a Londra. Per i XXX Giochi Olimpici gli sport che sono stati selezionati alla partecipazione sono ventinove. Le discipline sono molto diverse tra loro e richiedono forma fisica e allenamento specifici, studiati in modo personalizzato sulle caratteristiche dell’atleta e calibrate in base allo sforzo fisico richiesto.
I limiti fisiologici di un’atleta, e cioè la capacità di sforzo che uno sportivo può sopportare, infatti dipendono da più fattori: tra questi il biotipo genetico (e cioè la forma e la potenza dei muscoli che è geneticamente determinata), dall’allenamento e dalle condizioni della gara. Per comprendere meglio i meccanismi fisiologici che regolano l’attività fisica negli sportivi (e non), abbiamo intervistato Giuseppe Miserocchi, direttore della scuola di specializzazione in Medicina dello sport e professore ordinario di fisiologia umana dell’Università Milano Bicocca, che da anni si occupa con il suo gruppo di ricerca di fisiologia dello sport.
Quali sono i limiti fisiologici dell’atleta?
I limiti fisiologici di un atleta non sono definibili in modo preciso, e dipendono principalmente dalla biotipologia individuale e dall’allenamento Diciamo che sono definibili con buona approssimazione i ragionevoli miglioramenti di un atleta in base a dati di laboratorio e prestativi. Forse solo nel nuoto c’è stata una relativamente recente valanga di miglioramenti prestativi su tutte le distanze. Penso che questo dipenda dall’affinamento dei metodi di allenamento in questa disciplina e dalla realizzazione di una maggior specificità dell’allenamento stesso tarata sulla prestazione. Nel nuoto questa specificità era in effetti difficile da realizzare per via della notevole resistenza all’avanzamento nell’acqua che rende difficile calibrare la potenza allenante.
Esistono ancora record che sono migliorabili, quindi?
La risposta è complessa, ma certo si può affermare che consistenti miglioramenti dei record sono difficili da immaginare. Fattori che contribuiscono al miglioramento dei records per un atleta di punta sono: il raggiungimento del “picco forma”, una perfetta strategia di gara, la gara adatta (avversari e andamento della gara sono favorevoli al record), le condizioni ambientali. Personalmente, mi aspetto un record sulla maratona.
Fin dove si può migliorare con l’allenamento?
L’allenamento è l’unico strumento lecito per migliorare la prestazione. Per ottimizzarne gli effetti occorre definire alcune specificità. Prima di tutto bisogna identificare la specialità che più è congeniale alle caratteristiche morfo-funzionali di un soggetto. In questo caso, la distinzione può essere molto sofisticata (ad esempio in atletica è possibile definire se un atleta può dare il meglio di sè sui 5000 piuttosto che sui 10000m), la distinzione si basa essenzialmente su valutazioni parametriche prestative integrate con indici funzionali di laboratorio. In secondo luogo occorre definire una progressione ragionevole degli obiettivi atletici, in questo senso il programma di allenamento va tarato sugli obiettivi, e a intervalli di tempo prefissati occorre verificare se la progressione dei miglioramenti rispetta il programma stabilito o se è necessario proporre modifiche. Questa impostazione ha due vantaggi, da un lato consente di prevenire le complicazioni da sovraccarico, dall’altro che consente di programmare e verificare iI raggiungimento del “picco forma”.
Qual è il contributo delle nuove tecnologie nelle prestazioni atletiche?
Il contributo è variabile tra le discipline ma sempre consistente dal punto di vista dell’abbattimento dei record. Fondo della pista e scarpette per i corridori, l’asta per gli astisti, le famose tute (ora vietate) nel nuoto), il profilo aerodinamico per il ciclista (si pensi al record dell’ora in bicicletta).
Fin dove è giusto spingersi?
La domanda può essere letta in due modi. Chi compete a un certo livello considera “giusto” impostare una gara perfetta, senza scoppiare a metà strada, e producendosi in un gran finale. Per questo soggetto, il “giusto” è sempre e comunque dare il massimo e quindi non avere più un briciolo di energia da spendere dopo l’arrivo. Il che significa che sollecita i suoi organi al massimo, in primis il cuore. Questa strategia è esattamente opposta a quella che si consiglierebbe sul piano medico a chi pratica attività fisica a livello amatoriale per trarne un beneficio per la salute. In questo caso è “giusto” non spingersi al limite in quanto questo comporta qualche rischio (sostanzialmente cardiaco).
Al di là del miglioramento delle prestazioni fisiche in allenamento e durante una gara, perché è così importante studiare la fisiologia di un’atleta?
L’atleta è un laboratorio ove è possibile studiare vari meccanismi allo stato puro, cioè in assenza di malattie, e la loro modulazione sotto stress. I meccanismi sono sostanzialmente quelli legati all’erogazione di potenza da parte del motore biologico e la sua efficienza: questo include il sistema trasporto-utilizzo dell’ossigeno, la biomeccanica, l’attività neuromotoria. Lo studio fisiologico di questi meccanismi consente di definire il paradigma per la valutazione delle perturbazioni indotte dalle varie patologie.