Può un fumetto essere considerato un’opera d’arte, per di più con implicazioni sociali e scientifiche? In certi casi, come quello che ci apprestiamo ad esporre, probabilmente sì.
Watchmen è una graphic novel pubblicata nel 1986-87 dalla DC Comics, ideata da Alan Moore (noto anche per From Hell e V for Vendetta) e illustrata da Dave Gibbons. Nel 2009 il regista Zack Snyder ne ha diretto il film, ottenendo un discreto successo di pubblico e di critica ma anche forti contestazioni da parte di Moore (ma non da Gibbons). Classico esempio di hard science fiction, Watchmen è un’opera con caratteristiche uniche che gli hanno procurato riconoscimenti come il premio Hugo e l’inserimento, da parte del TIME Magazine, nella lista dei 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 a oggi.
E’ molto difficile definire in poche righe di cosa parla: Alan Moore ha affermato, del resto, che “la sua opera contiene così tanti collegamenti interni, dettagli di fondo e livelli di lettura da impegnare uno studioso universitario per anni”. La vicenda si svolge, comunque, negli USA e i protagonisti sono un gruppo di supereroi (o, meglio, watchmen, controllori) la cui presenza ha determinato il verificarsi di un 1985 alternativo, dalle tinte nere e distopiche. Grazie agli watchmen gli USA sono usciti vincitori dalla guerra del Vietnam, Nixon ha potuto evitare il Watergate ed è riuscito a cambiare la legge in modo da restare in carica cinque volte come presidente, il tutto in un mondo sotto la spada di Damocle della guerra atomica fra le due superpotenze USA e URSS. Gli watchmen non hanno, al contrario dei consueti supereroi di film o fumetti, veri e propri superpoteri, eccezion fatta per uno di essi, il Dr Manhattan di cui parleremo meglio in seguito. Vivono, viceversa, il dramma di essere uomini e donne normali – seppur con capacità non comuni – che, da un certo momento in poi, vengono messi al bando, sperimentando sulla propria pelle il passaggio da eroi nazionali a persone costrette a vivere in clandestinità. La trama, anche se utilizza come elemento propulsore il topos del manipolo di individui che si trova a fronteggiare un pericolo planetario, tocca, in modo mai scontato o banale, svariati temi di assoluta rilevanza. Si parla del rapporto fra legittimità morale e autorità, del significato della figura dell’eroe, della dicotomia fra determinismo e libero arbitrio, del ruolo sociale della memoria. Il fumetto del 1986 è, poi, uno dei primi testi a basarsi su una teoria del complotto, anticipando tanta letteratura dei nostri giorni.
Le implicazioni filosofiche e sociali del racconto sono state già affrontate da vari autori: si veda, ad esempio, la pagina Wikipedia dedicata o la raccolta di saggi Watchmen vent’anni dopo, curata da Sergio Nazzaro. Qualche approfondimento in più meriterebbe farlo, invece, sui collegamenti fra finzione scientifica e realtà presenti. Un aspetto centrale per l’autore del fumetto e per il quale la produzione cinematografica ingaggiò un consulente assolutamente particolare, il professor James Kakalios dell’Università del Minnesota.
Kakalios ha dato vari contributi alla ricerca nel campo dei semiconduttori amorfi e del rumore rosa nonché della fisica dei materiali granulari; è noto, però, anche come divulgatore scientifico di qualità per il caso editoriale La fisica dei supereroi (2005). Il risultato della sua collaborazione è stato oggetto, oltre che di un’intervista ufficiale presente su youtube, di vari articoli di commento; sono stati pubblicati, poi, in rete anche altri interventi di studiosi diversi sempre a proposito della scienza in Watchmen.
Quali problematiche scientifiche, quindi, solleva il nostro lavoro, o dualmente, quali delle sue scene possono aiutarci nella comprensione delle scienze?
Per capirlo cominciamo col dire qualcosa in più sul Dr Manhattan, l’unico watchmen con dei superpoteri. Questi era originariamente un semplice scienziato (Jon Osterman) che diventa, a causa di un incidente in laboratorio, capace di utilizzare le leggi della meccanica quantistica a suo piacimento. Un essere, quasi divino; il vero ago della bilancia dell’equilibrio mondiale, su cui il regime statunitense creerà lo slogan “Dio esiste ed è Americano”.
La trasformazione, nel racconto, avviene a seguito dell’indebolimento di un fantomatico “campo intrinseco”, inteso come l’insieme di tutte le forze operanti sul suo corpo tranne la gravità. Ci chiediamo ora: ci può essere qualche elemento scientifico in tutto ciò? La risposta è, paradossalmente, in parte positiva.
La presenza di più forze alla base del mondo fisico è, infatti, una conoscenza assodata: queste sono, oltre alla gravità, la forza elettromagnetica, la nucleare forte e la nucleare debole. Si può osservare, poi, che l’elaborazione di una Teoria del Tutto (TOE, Theory Of Everything) in grado di spiegare i primi istanti di vita dell’Universo e che chiarisca com’è avvenuta la separazione di queste forze a partire da un’unica superforza iniziale, rappresenta una delle principali frontiere della fisica contemporanea. Si può aggiungere, infine, che, fra le teorie candidate a diventare la tanto agognata TOE, un posto di rilievo ce l’hanno le teorie ondulatorie come la Teoria delle Stringhe, in cui l’intima natura delle cose viene ricondotta a modi di vibrazione di costituenti elementari filiformi. Da tutto questo non segue, ovviamente, che l’idea di un esperimento capace di sottrarre il “campo intrinseco” sia qualcosa di realizzabile. Che la finzione risulti in un certo modo plausibile, però, probabilmente sì, tanto più in ipotesi di validità di una TOE ondulatoria.
Intanto perché l’attuale studio delle particelle elementari opera già, in parte, come un ipotetico sottrattore di “campo intrinseco”, ossia per successive rotture dei legami delle varie forze. Fatta eccezione per la forza debole (che piuttosto regola fenomeni spontanei come il decadimento β), infatti, sono esperienze comuni nei centri di ricerca tipo il CERN l’utilizzo di fotoni per strappare gli elettroni all’attrazione elettromagnetica e il bombardamento dei nuclei per spezzarli nei costituenti di base, vincendo dunque la loro forza forte.
Poi perché, se è possibile creare dei pattern di interferenza negativa per onde acustiche ed elettromagnetiche (di cui esiste un curioso Do it yourself sul sito di Scientific American), valendo una TOE ondulatoria, sarebbe anche possibile cancellare, con opportune interferenze, pure le altre forze che tengono insieme nuclei e particelle varie. La finzione narrativa, in questo caso, entra quantomeno in due aspetti: intanto sul raggiungimento delle energie necessarie per effettuare l’ipotetica rottura del “campo intrinseco” che, con le tecnologie attuali, risultano inconcepibili. Poi sulla violazione del secondo principio della Termodinamica da parte di Jon Osterman che ritornerebbe identico a prima – anche se con nuovi poteri – dopo essere stato disaggregato a livello microscopico.
Nel racconto il Dr Manhattan manifesta la capacità di muoversi istantaneamente da un luogo all’altro, un po’ come succedeva col teletrasporto in Star Trek, peraltro già affrontato nelle implicazioni reali da Lawrence Krauss nel suo saggio del 1995. Nel nostro caso, ha precisato Kakalios, il fenomeno fisico di riferimento sarebbe il cosiddetto effetto tunnel, già così noto e sperimentato (al contrario della TOE) da esistere anche in applicazioni industriali quali i diodi Esaki. In base all’effetto tunnel una particella può superare una barriera anche se non ha energia sufficiente: basta che l’energia complessiva a passaggio avvenuto sia inferiore a quella iniziale. A causa di questo fatto sarebbero, dunque, plausibili i frequenti viaggi istantanei del Dr Manhattan su Marte. Per farli gli basterebbe, infatti, prendere a prestito abbastanza energia da allargare la propria funzione d’onda fino a rendere sufficientemente probabile il tunnel verso il pianeta rosso e poi restituirla con gli interessi a balzo effettuato. Ancora, quindi, abbiamo un fenomeno non realistico ma, accettata l’ipotesi di un essere come il nostro supereroe, coerente col contesto.
Il Dr Manhattan è, inoltre, capace di trovarsi in più posti contemporaneamente: anche questo fatto è leggibile alla luce di un fenomeno quantistico, quello mostrato nell’esperimento della doppia fenditura, la cui importanza viene sottolineata in particolare da Richard Feynman. Qui, inviando un pacchetto di fotoni verso uno schermo dotato di due fenditure e posizionato davanti a una lastra fotografica, si possono riscontrare dei fenomeni di diffrazione (cioè di deviazione di traiettorie e combinazione) delle onde associate ai fotoni stessi. La cosa sorprendente è che ciò succede non solo con più particelle (qui si potrebbe semplicemente dire che qualcuna è passata da un foro, qualcun’altra dall’altro) ma anche con una sola! E’, quindi, come se il fotone fosse distribuito un po’ dovunque nello spazio e “annusasse” (Brian Green ne L’Universo Elegante) continuamente tutti i possibili percorsi fino a che qualcosa non lo forza in un senso o in un altro. E’ questo, sinteticamente, il ragionamento proposto da Feynman nella celebre teoria sui cammini a margine della quale il fisico commentò: “Bisogna accettare la natura per quel che è. Assurda”.
L’esperimento della doppia fenditura è utile per evidenziare non solo la plausibilità di questo passaggio ma anche le sue principali incongruenze. E’ pur vero che la diffrazione potrebbe permettere, a un ipotetico essere quantico, di trovarsi un po’ da una parte e un po’ da un’altra, manipolando la propria funzione d’onda (il cui modulo quadro ha, com’è noto, il significato fisico di distribuzione di probabilità spaziale). D’altronde la probabilità complessiva associata a un oggetto non può eccedere l’unità. La forzatura narrativa non è, quindi, tanto nell’ipotizzare l’ubiquità quanto, piuttosto, nella presenza di tutto il Dr Manhattan, in due posti diversi, condizione associata a una probabilità complessiva del 200%.
Interessante è anche vedere che, per mantenere l’approccio hard, gli autori originari e il regista hanno sacrificato parte dell’estetica, il che non è una cosa tanto comune. Il Dr Manhattan ha, infatti, la pelle di color blu, il che è visivamente un po’ il classico pugno nell’occhio! C’è, però, una spiegazione fisica anche per questo ed è la cosiddetta radiazione di Cerenkov. Secondo questo fenomeno, se un’onda elettromagnetica ad alta energia attraversa un materiale, se sono rispettate alcune ipotesi sulla sua velocità di fase, questo reagisce emettendo una radiazione nel campo del blu. E’ in base alla radiazione di Cerenkov, ad esempio, che i reattori nucleari in funzione sono circondati da aloni blu o azzurro fosforescente. E’, dunque, coerente che il Dr Manhattan, dotato di un debole “campo intrinseco”, sia soggetto a una continua fuoriuscita di fotoni ad alta energia, ossia sia circondato dall’aura blu in questione.
Tutto questo risulta, fra l’altro, compatibile anche con l’emissione da parte di Manhattan di radiazioni che, nella vicenda, sono un elemento fortemente drammatico. Dopo aver preso consapevolezza, infatti, che con la sua sola presenza aveva segnato irrimediabilmente la vita della propria ex ragazza e di alcuni vecchi colleghi di lavoro, il super-watchmen comincia ad assumere un atteggiamento distaccato e fatalista rispetto al genere umano, con tutta una serie di sviluppi che porteranno all’epilogo finale.
Come si vede sono molti i passaggi con implicazioni scientifiche e molte considerazioni ulteriori si potrebbero fare, portandoci, però, al di là degli scopi di questo articolo. Vorremmo illustrare, tuttavia, un ultimo momento interessante, discusso dal fisico teorico Dmitry Podolsky sul sito NEQNET: The world of theoretical physics. Il punto in questione è quello in cui Adrian Veidt, il cattivo estremamente sui generis della vicenda, utilizza un generatore di tachioni posizionato nel proprio corpo per impedire al Dr Manhattan di leggere il suo futuro e, dunque, capire in anticipo i suoi piani. Ha senso tutto questo? Se sì, perché?
Il primo passo è, ovviamente, capire cosa sono i tachioni. Si stratta di un’ipotetica particella capace di muoversi a velocità maggiore di quella della luce, proposta dal fisico e matematico ungherese Eugene Wigner. E’ utile ricordare che, al momento, non è stata trovata alcuna dimostrazione sperimentale della loro esistenza e, anzi, che le prove stanno confermando l’ipotesi contraria. Parlando di scienza, quindi, dovremmo già fermarci. Vediamo, però, la plausibilità e la logica della finzione. Se i tachioni esistessero, si potrebbe abbastanza agevolmente dimostrare (con pochi passaggi di relatività ristretta, ovviamente senza l’ipotesi di non superabilità della velocità della luce nel vuoto) che un loro flusso fra due punti dello spaziotempo (x1,t1) e (x2,t2) con t2>t1 vedrebbe il tempo scorrere al contrario, rovesciando quindi il rapporto causa-effetto x1=>x2 osservato dal resto del mondo. La conseguenza sarebbe, dunque, presto detta: se anche Manhattan avesse potuto prevedere le prossime configurazioni delle funzioni d’onda del suo amico-nemico, avrebbe visto delle fotografie trasmesse da tachioni e non da fotoni. Avrebbe avuto, in pratica, in mano il mazzo di carte della vita del rivale ma non avrebbe mai potuto metterlo in una sequenza comprensibile. D’altronde Veidt non veniva definito l’uomo più intelligente della terra mica per caso …
Siamo ora alle conclusioni. Per quanto visto, possiamo parlare di Watchmen come di un’opera pervasa non da scienza ma finzione scientifica assolutamente consapevole. Kakalios ha espresso il concetto parlando di “una piccola pepita di reale meccanica quantistica nella vicenda”, preziosa perché utilizzabile come punto di partenza per imparare o approfondire veri principi scientifici. Ruberemmo al professore, quindi, un ultimo slogan: “meglio blu che rosso”. Perché, come dicevano i telegiornali della propaganda, il blu del Dr Manhattan era più forte degli odiati rossi sovietici, ma anche perché, come ci direbbe un qualunque fisico che si occupi di elettromagnetismo, la radiazione blu è più energetica della rossa.
molto ineterssante e ben fatto. complimenti. giorgio pacifici giornalista rai
Molto bello, complimenti 🙂
Anche se a distanza di 4 anni, bell’artico!
Di recente mi hanno consigliato il libro di James Kakalios “La fisica dei supereroi” e ad una prima occhiata mi piace molto. In ogni caso, solo per dire la mia in questo commento riguardo il secondo principio della termodinamica applicato su Jon Osterman nel laboratorio. In effetti quest’ultimo viene disgregato al livello fisico per poi “rinascere” come Dr. Manhattan, ma cosa accade al livello mentale? Nessuno è in grado di spiegare la sua condizione fisica, ma è possibile comprendere la sua condizione psicologica anche se appare essere mutata come il corpo ed i suoi poteri di influenzare la realtà. Dunque secondo me, forse, Jon Osterman cambia solo a livello fisico almeno fino ad un certo punto. Dopotutto riconosce gli amici e si innamora, cosa che sembra andare in contrasto con la sua presenza apparentemente quasi divina ed allo stesso tempo distaccata.