A tutti è capitato di innamorarsi almeno una volta nella vita di un cantante, un gruppo o un genere musicale e di provare quella magia di sovrapposizione di intenti ed emozioni che ci fanno sentire immortali.
Il mio innamoramento dura dall’adolescenza. E non ne vado particolarmente fiera perché a volte mi fa sentire come se non avessi completato il mio processo di maturazione. Eppure i Radiohead per me sono stati amore al primo ascolto e nonostante il sentimento si sia trasformato negli anni, ancora sento l’emozione fortissima che la voce e le parole di Thom Yorke, il frontman del gruppo, trasmette.
I Radiohead nascono negli anni Novanta nell’Oxfordshire, nei favolosi anni del grunge, della musica depressa e disillusa che dopo l’ottimismo degli anni Ottanta cerca di riportare il mondo (almeno quello occidentale) con i piedi per terra. La nota predominante che contraddistingue la loro musica è la malinconia legata a una forma di cinico pessimismo con cui affrontano temi legati alle emozioni, alla politica e alla società.
In questo contesto nascono alcune delle loro canzoni più coinvolgenti che parlano del cambiamento climatico e dei problemi legati all’inquinamento.
La prima esce nel 1995, nel loro secondo album chiamato “The Bends” e si intitola “Fake Plastic Trees”. Come si può facilmente intuire l’argomento di questa canzone è legato a una critica fortissima proprio agli strascichi di quegli splendidi anni Ottanta in cui appunto la plastica ha avuto una diffusione capillare nella quotidianità.
La voce angelica suadente e graffiante di Thom Yorke racconta di un mondo finto, fatto di plastica. Le tre strofe affrontano tre argomenti diversi: nella prima la plastica è in tutto ciò che ci circonda, con l’unico destino di essere gettata mentre ciò che si consuma e subisce l’usura del tempo, sono solo le persone.
Her green plastic watering can For her fake Chinese rubber plant In the fake plastic earth That she bought from a rubber man In a town full of rubber plans To get rid of itself It wears her out, it wears her out It wears her out, it wears her out” | Il suo annaffiatoio di plastica verde Per la sua finta pianta cinese di gomma Nella sua finta terra di plastica Che lei ha comprato da un uomo di gomma In una città piena di piani gomma Per disfarsene Questo la logora, questo la logora Questo la logora, questo la logora |
Nella seconda strofa la plastica diventa essa stessa parte (o tutto) del corpo umano, e si parla di un uomo, un chirurgo plastico, che va in briciole come se fosse fatto di polistirene. Questo perché “la gravità vince sempre” e non lo riesce ad accettare.
“She lives with a broken man A cracked polystyrene man Who just crumbles and burns He used to do surgery For girls in the eighties But gravity always wins It wears him out, it wears him out It wears him out, it wears…” | Lei vive con un uomo distrutto Un uomo di polistirene in pezzi Che si sbriciola e brucia Lui faceva il chirurgo plastico Per le ragazze negli anni ’80 Ma la gravità vince sempre E questo lo logora, questo lo logora Questo lo logora, questo… |
Nell’ultima strofa invece Thom Yorke parla del suo amore che sembra vero, reale, ma è un “fake plastic love” a cui non riesce a resistere e da cui non riesce a scappare, e gli lascia addosso un senso di inadeguatezza (argomento ricorrente in tutta la loro discografia).
“She looks like the real thing She tastes like the real thing My fake plastic love But I can’t help the feeling I could blow through the ceiling If I just turn and run And It wears me out, it wears meout It wears me out, it wears me out And If I could be who you wanted If I could be who you wanted all the time” | Lei sembra essere ciò che è reale Ha il gusto di ciò che è reale Il mio falso amore di plastica Ma non posso resistere al sentimento Potrei andare via attraverso il soffitto Se solo mi girassi e corressi E questo mi logora, questo mi logora Questo mi logora, questo mi logora E se solo io potessi essere ciò che vuoi Se solo potessi essere ciò che vuoi per sempre |
In quegli anni non esistevano ancora i movimenti “Plastic Free” di oggi e le tematiche ambientaliste non riempivano le pagine dei giornali, tuttavia l’immagine della plastica viene usata per rappresentare la decadenza e la falsità della società.
Vorrei poter chiedere agli autori se già in quel tempo scrivevano con lo scopo di sensibilizzare le persone al tema ecologico e ambientalista, cosa che chiaramente fanno nella canzone “Idioteque” contenuta nell’album “Kid A” del 2000: quest’ultimo è considerato un album capolavoro perché avvicina i Radiohead alla musica elettronica senza perdere nemmeno un briciolo dell’emotività struggente a cui ci avevano abituati con la prima fase più rock. Ho visto dal vivo la loro performance nel tour di questo album, e ancora provo la stessa sensazione destabilizzante ed euforica di quella sera all’Arena di Verona.
Idioteque: già il nome ci porta in un mondo surreale dove l’idiozia è diffusa quanto la musica ad alto volume nelle discoteche. La maggior parte delle persone non se ne rende conto ma l’emergenza non è più allarmismo ma realtà. Sta accadendo, sta arrivando la nuova era glaciale e Thom Yorke lo ripete ossessivamente come un lamento “donne e bambini per primi, donne bambini per primi”. Lo scenario è quindi apocalittico e l’atmosfera angosciante. A riascoltarla oggi, con i problemi di siccità e di aumento di temperature che stiamo vivendo sembra però qualcosa più di una canzone visionaria. Purtroppo.
Who’s in a bunker? Who’s in a bunker? Women and children first And the children first And the children I’ll laugh until my head comes off I’ll swallow till i burst Until i burst Until i Who’s in a bunker? Who’s in a bunker? I have seen too much I haven’t seen enough You haven’t seen it I’ll laugh until my head comes off Women and children first And children first And children Here i’m alive Everything all of the time Here i’m alive Everything all of the time Ice age coming Ice age coming … | Chi c’è nel bunker? Chi c’è nel bunker? Donne e bambini per primi E bambini per primi E i bambini… Riderò fino a che la mia testa non si staccherà Ingoierò fino a scoppiare Fino a scoppiare Fino a… Chi c’è nel bunker? Chi c’è nel bunker? Ho visto abbastanza Non ho visto abbastanza Non l’hai visto Riderò fino a che la mia testa non si stacchi Donne e bambini per primi E bambini per primi E bambini… Qui sono vivo E lo sarò per tutto il tempo Qui sono vivo E lo sarò per tutto il tempo L’era glaciale sta arrivando L’era glaciale sta arrivando … |
L’ultima canzone di cui vorrei parlare è la più criptica e difficile da interpretare: “Polyethylene 1&2” del 1997, (e già nel titolo richiama il mondo finto di plastica di “Fake Plastic Trees”) sembra composta da due parti, perché le sonorità passano da dolci, malinconiche e suadenti a energiche, disilluse e angoscianti non appena comincia l’invito “vendi vestito e cravatta e vieni a vivere con me”. È netta la contrapposizione tra il sentimento delicato ma forte che sconvolge e rende tutto eterno, e la dura realtà fatta di etichette, malattie, sacchetti di plastica, classe media, caffè decaffeinato, benzina senza piombo, disinfezione e polietilene.
Tears of joy now scare ourselves of all that you want to be Just got paid and now you’re going, how long should you please If I get scared I’ll just call you And I miss your glow as I unsettle Oh, and I’ll always feel, I will always feel Right, one, two, three, four So sell your suit and tie and come and live with me Leukemia schizophrenia polyethylene There is no significant risk to your health She used to be beautiful once as well Plastic bag, middle class, polyethylene Decaffeinate, unleaded, keep all surfaces clean If you don’t believe me, sell your soul If you don’t get into it, no one will | Lacrime di gioia ora spaventano noi stessi di tutto ciò che si desidera essere Sono appena stato pagato e ora te ne vai, quanto ci metti? Se ho paura ti chiamo e basta E mi manca il tuo bagliore mentre mi sconvolge Oh, e mi sentirò sempre, mi sentirò sempre Giusto, uno, due, tre, quattro Quindi vendi il tuo vestito e cravatta e vieni a vivere con me Leucemia schizofrenia polietilene Non vi è alcun rischio significativo per la salute Anche lei una volta era bellissima Sacchetto di plastica, classe media, polietilene Decaffeinato, senza piombo, mantenere tutte le superfici pulite Se non mi credi, vendi la tua anima Se non ci entrerai, nessuno lo farà |
Risulta molto difficile capire di cosa la band stia parlando realmente con questo brano perché non ci sono riferimenti diretti, ma conoscendo le loro posizioni nei confronti della società e della politica, si può pensare che il tema principale sia la compromissione della purezza per colpa di un mondo sintetico fatto di medicine e superfici asettiche. Traspare la critica alla “middle class”, paragonata alla mediocrità di un sacchetto di plastica, che non sa reagire di fronte alle reali emergenze come quella ambientale ed ecologica.
Le tre canzoni presentate sono molto diverse nello stile, nonostante la voce dolce e inquietante di Thom Yorke sia il filo rosso che le collega tra di loro generando in chi ascolta ansia, malinconia e sentimenti struggenti. La natura matrigna è un tema che spesso ricorre nei loro testi, e in quelli qui analizzati viene sostituita da materiali sintetici, consumismo e futuri distopici, realizzando una critica amara e senza speranze alla società.
Nel pessimismo cosmico che queste canzoni possono aver gettato la nostra anima, è molto forte l’energia messa in gioco durante le performance dal vivo, e forse questa rappresenta la vera arma rivoluzionaria, la spinta verso la ribellione nei confronti della realtà amara che la band vede tutto intorno. La forza, l’energia e la passione che escono dalle note di ogni canzone dei Radiohead, nonostante le tematiche affrontate, generano in chi ascolta una strana forma di ottimismo e di voglia di lottare per un mondo che prenda finalmente coscienza della grave crisi climatica, sociale e culturale che stiamo attraversando.
Nonostante non mi consideri una persona pessimista o paranoica, personalmente ho sentito spesso i miei sentimenti aderire perfettamente con le emozioni trasmesse da questo gruppo. Non troppo triste, e nemmeno vagamente allegro: ci vuole lo stato d’animo nella giusta modalità per poter ascoltare i Radiohead e trarre il meglio dalla loro intensa, profonda e tanto ammirata discografia.