Tutti noi conosciamo il termine Smart City. A partire dagli anni Novanta sono emerse numerose sue definizioni, al passo del progresso tecnologico e del susseguirsi delle discipline implicate. Nonostante questo, comunicare cosa significhi essere una Smart City al grande pubblico è una operazione complessa, per molti c’è ancora difficoltà nel comprendere cosa rappresentino le città intelligenti in progetti e processi integrati. Da un lato, può essere imputabile all’abuso del termine da parte di amministrazioni e politici, dall’altro al fatto che parliamo di una realtà multiforme, con numerose professionalità e sistemi di relazione. Spesso si pone enfasi sui dati che alimentano e governano una smart city, altre volte si sottolineano gli aspetti fisici per un’adeguata urbanizzazione e qualità architettonica degli spazi pubblici.
Le multinazionali IBM e CISCO sono state le prime a presentare la visione di “smart city”, che possiamo riassumere con la definizione data da Stephen Goldsmith, ovvero un’area urbana tecnologicamente avanzata, in grado di utilizzare sistemi elettronici e sensori per raccogliere dati specifici1. Questi dati vengono trasformati in informazioni per la gestione di risorse, beni e servizi per la comunità, quali traffico, energia, verde urbano, sistema idrico, rifiuti, ma anche strutture come ospedali, scuole e sistemi informativi. In sostanza, una città che, nel futuro, come portato avanti da chi pone l’accento sulla questione dei dati, potrà arrivare ad autogestirsi, grazie all’ausilio delle informazioni ricavate dall’ambiente urbano, ma soprattutto dai suoi abitanti.
Singapore, che si trova in cima alla lista delle città più digitali al mondo, ha adottato un’ampia gamma di tecnologie sia nel settore pubblico che in quello privato. Questo ha permesso di passare da un sistema sanitario tradizionale a uno digitale e di introdurre sensori per il monitoraggio della gestione dei rifiuti e della pulizia della città. Altri esempi positivi si possono trovare nella città di Oslo, dove l’utilizzo di rilevatori di targhe ha permesso di studiare il flusso del traffico per sviluppare metodi basati sui dati, al fine di migliorare la congestione stradale. Inoltre, la città sta lavorando per realizzare cantieri a emissioni zero, e adeguare gli edifici esistenti per sviluppare sistemi circolari di gestione rifiuti e dell’energia verde.
Indubbio che le smart cities promuovano una spinta innovativa e sostenibile, quanto però le altre componenti della sostenibilità, quella economica e sociale, sono davvero considerate all’interno dei suddetti sistemi? Parliamo in particolare dell’affrontare il tema della sostenibilità sociale: possono e devono essere realmente i cittadini artefici della progettazione dei luoghi in cui vivono e lavorano? È sufficiente parlare di pianificazione partecipata?
Rendere il processo delle Smart City inclusivo, calato sui bisogni dei cittadini e di tutte le sue categorie, significa coinvolgere i cittadini per combinare l’innovazione tecnologica con la progettazione attenta degli spazi pubblici; promuovere la fruizione di ampie parti di città non solo attraverso il trasporto su gomma, ma anche attraverso l’ausilio del trasporto pubblico; permettere a progetti smart di vedere la luce senza obiezioni dalle comunità, che risultino integrate, informate e coinvolte sui processi in atto. Questa sfida coinvolge proprio la comunicazione tra scienza, amministrazioni e comunità per lo sviluppo delle proprie città. Le smart cities non devono diventare elitarie, non devono diventare enclave tecnologiche, o peggio luoghi della sorveglianza. La raccolta dei dati e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la governance della città devono essere moderati, limitati e devono tutelare i cittadini. Tutto questo deve essere comunicato in modo efficace, e non propagandistico, permettendo una cultura critica e consapevole. Le smart cities possono essere espressione di volontà utopiche e mostrare aspetti distopici, è su questo equilibrio che si gioca il futuro delle città2. Un futuro che, secondo le Nazioni Unite, entro il 2050, riguarderà il 70% della popolazione mondiale. A questo corrisponderà un aumento esponenziale del consumo di energia e contestualmente un aumento di emissioni. Al di fuori di queste città non devono, però, trovare posto spazi marginali, insicuri e malsani3.
Un esempio virtuoso di cittadinanza attiva è stato quello della città di Curitiba, nel sud del Brasile. Nel 2010 ottenne il titolo di città più eco-sostenibile al mondo ai Globe Sustainable City Award, e il suo successo non sarebbe stato possibile senza il supporto attivo della cittadinanza nel partecipare all’ideazione delle tecnologie alla base della Curitiba che conosciamo oggi. A partire dagli anni ‘60, è stata la prima città ad aver sviluppato il BRT (Bus Rapid Transit), ovvero un sistema di bus cittadino che combina i benefici di una metropolitana con la semplicità del trasporto bus.
Secondo la ricerca condotta dall’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano4, in Italia le amministrazioni devono assumere consapevolezza della potenzialità delle tecnologie e deve essere promossa una cultura dell’innovazione che riconosca i vantaggi degli interventi, soprattutto quelli derivanti dall’integrazione di diverse applicazioni in sistemi integrati. La ricerca, dal canto dei cittadini, mostra che il pensiero condiviso è che l’idea della smart city sia percepita come futuristica, e che le città potrebbero fare di più investendo in nuove tecnologie.
Aspetti che allontanano i cittadini sono la difficoltà di confronto con le parti interessate, le disparità digitali, la disinformazione proveniente da fonti non ufficiali senza supporto di dati scientifici, e la sensibilità sui temi legati all’utilizzo dei dati e alla privacy. Per esempio, esistono sostanziali differenze fra le società occidentali a quelle orientali, dove in quest’ultima risiede una buona sensibilità al tema della privacy rispetto alla nostra, si accettano così più facilmente alcuni compromessi se si percepiscono i vantaggi.
Se il futuro dell’uomo è quindi nelle città intelligenti, occorre dotarsi di strumenti che tutelino l’urbanità del futuro: informare i cittadini sulle politiche attuate in ottica smart sul significato scientifico delle innovazioni; promuovere una cultura scientifica che permetta a tutti di comprendere e sviluppare un proprio senso critico, attraverso opportunità aperte, partecipative ed inclusive per osservare da vicino le tecnologie progettate per noi; rimettere al centro la tutela della persona.
Ne parleremo il 19 ottobre con Maurizio Melis al convegno “La Scienza si racconta”, insieme ad altri ospiti e altre interessanti esperienze, dalle 14.30 alle 17.30, al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci.
1 Goldsmith, Stephen (16 September 2021). “As the Chorus of Dumb City Advocates Increases, How Do We Define the Truly Smart City?“. datasmart.ash.harvard.edu
2 Sugli aspetti distopici della raccolta dati, dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale e sul tema della sorveglianza nelle città si veda Kate Crawford, Né intelligente né artificiale – il lato oscuro dell’IA, il Mulino, 2021
3 Sul “lato oscuro” dell’idea di smart city, Alfredo Mela (2013) https://iris.polito.it/handle/11583/2523287
4 https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/smart-city/smart-city-aumentano-i-progetti-ma-per-i-cittadini-scarsi-benefici/
Anna Giulia Castaldo e Monica Umberta Cauduro