Il conflitto Russia-Ucraina ha inevitabilmente portato con sé sanzioni, progressiva riduzione delle forniture di gas russo, impennata dei prezzi e caro bollette. L’Italia, come il resto dell’Unione Europea, sta cercando di rimpiazzare la quasi totalità dei metri cubi di gas importati dalla Russia nel 2021, un’impresa non scontata considerata la dipendenza raggiunta negli ultimi dieci anni.
L’inverno sta arrivando. La situazione attorno alla crisi energetica del gas evolve con cadenza quasi quotidiana per le fluttuazioni sia dei prezzi sia degli approvvigionamenti stessi e una delle domande ricorrenti degli ultimi tempi è se riusciremo a sostituire le forniture energetiche russe. Per capire i possibili scenari futuri partiamo dal far luce sulla distribuzione del gas naturale nel nostro Paese e sui cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi.
Il gas in Italia arriva attraverso i metanodotti o come GNL, gas naturale liquido, mediante le metaniere, navi da trasporto speciali. In forma liquida il gas viene poi immesso in rete attraverso i rigassificatori di Porto Levante (Rovigo), di Livorno e di Panigaglia (La Spezia). I collegamenti italiani via tubo sono costituiti da cinque gasdotti ai quali si aggiungono gli stoccaggi di gas che sono circa 16 miliardi di metri cubi (la seconda quantità in Europa dopo la Germania). Per quanto riguarda la rete di gasdotti, essa è costituita da: il Transmed (gasdotto che trasporta il gas algerino, attraversa la Tunisia e arriva fino a Mazara del Vallo); il Greenstream (gasdotto che collega la Libia con l’impianto di Gela, Sicilia); il Transitgas (anello di congiunzione tra il mercato del gas dell’Europa Nord-occidentale e quello italiano, e che trasporta il gas olandese e norvegese al Passo del Gries, in Piemonte). Le forniture russe ed azere attraversano tre metanodotti prima di raggiungere il mercato italiano. Il gas russo inizia il viaggio con il gasdotto della Siberia, attraversa l’Ucraina e arriva al confine con la Slovacchia per poi imboccare il Transgas raggiungendo l’Austria dove viene immesso nel TAG, Trans Austria Gas, che lo trasporta fino all’impianto di Tarvisio, in provincia di Udine. Il gas azero parte da Baku, con il gasdotto SCP, South Caucasus Pipeline, e giunge sino in Turchia. Da lì il gas prosegue attraverso il TANAP, Trans Anatolian Pipeline, che lo trasporta fino in Grecia da cui partono le condotte del TAP, Trans Adriatic Pipeline, che approdano nel comune di Melendugno in Puglia.
La geografia degli approvvigionamenti del gas naturale non ha subito variazioni significative dall’inizio del conflitto Russia-Ucraina, quello che è cambiato sono le percentuali delle importazioni. Nel 2021 l’Italia ha importato 72,7 miliardi di metri cubi di gas (circa il 40% del fabbisogno energetico italiano), di cui 9,8 miliardi erano sotto forma di GNL. Fino a febbraio 2022, cioè prima della guerra, circa il 40% proveniva dalla Russia, il 31% dall’Algeria, il 10% dall’Azerbaijan e Qatar, il 4% dalla Libia (altre piccole quote da Norvegia, Netherlands, Croazia, Nigeria, Stati Uniti, Francia, Egitto e Spagna).
Oggi i ruoli si stanno ribaltando: l’Italia è ben collegata con Algeria e Libia. Se per quest’ultima l’instabilità politica interna ha indotto una riduzione dei flussi, invece l’Algeria è diventata il nostro primo fornitore, distribuendo all’Italia 20 miliardi di metri cubi di gas, che secondo i nuovi accordi stipulati dal governo Draghi con il contributo del Ministero della Transizione Ecologica guidato da Roberto Cingolani aumenteranno di 3 miliardi entro il 2022, per arrivare a 6 miliardi nel 2023. A partire dal 2024 il Transmed dovrebbe entrare a pieno regime con almeno 9 miliardi di metri cubi di gas in più. L’Azerbaijan aumenterà di 2,5 miliardi di metri cubi di gas naturale fino a 9,5 miliardi aggiuntivi attraverso il TAP, gasdotto partito l’anno scorso, figlio di tante polemiche, ma che al momento ci sta parzialmente salvando. Il cambiamento più grande lo abbiamo apportato nell’importazione del GNL, che prima componeva solo una piccola parte del mix energetico e ora sfiora percentuali vicine al 20%. Il gas liquido proviene quasi tutto dagli Stati Uniti perché gli altri Paesi del mondo non riescono a produrne e a esportarlo tanto in fretta. Per quanto riguarda la Russia, siamo scesi dal 40% a circa il 10-15% e questo è un dato in continua diminuzione considerando anche le più recenti evoluzioni tra chiusure e probabili sabotaggi del Nord Stream (gasdotto che attraverso il Mar Baltico raggiunge l’Europa occidentale). Per il resto bisognerà capire se le promesse dei Paesi esportatori verranno mantenute. Attualmente l’Algeria rispetta gli accordi convogliando le forniture sottratte alla Spagna. Chi invece non sta dando garanzie all’Italia è la Norvegia, che non potrà aumentare rapidamente le forniture e, anzi, attualmente è in calo strutturale. Con questi riarrangiamenti riusciamo a sostituire a malapena quel 30% perso dalla Russia. Se questa dovesse chiudere definitivamente i rubinetti, la questione si farebbe più problematica. A quel punto i tre rigassificatori già attivi non basterebbero a far fronte alle nuove esigenze né tanto meno ci potrebbe salvare la costruzione di nuovi gasdotti per aggirare la Russia.
In una prospettiva più ottimistica va anche considerato che rispetto al 2009 non solo l’Italia, ma tutta l’Unione Europea sono riuscite ad attrezzarsi. Quando ci fu la crisi del gas 12 anni fa alcuni Paesi dell’Europa Orientale, che venivano riforniti tramite risorse che partivano dalla Russia e passavano per l’Ucraina (a quel tempo circa l’80% dell’import), rimasero senza gas all’inizio di un inverno che fu particolarmente rigido, nonostante altri Paesi del continente, come Olanda e Germania, avessero abbondanti scorte, ma impossibilitati ad inviarlo per limiti strutturali della rete. Da quel momento sono stati costruiti degli interconnettori per cui si scambia gas molto meglio all’interno del continente. Questo ci permette rispetto a un tempo, di mandare gas in territori con le scorte azzerate. Inoltre, è stato introdotto il “reverse flow” ovverosia la possibilità di mandare il gas da Ovest verso Est, dopo che per cinquanta anni aveva fatto esclusivamente il percorso inverso. Ora l’UE è sicuramente più preparata sia in caso di ostruzioni di approvvigionamento, sia in caso di sbilanciamento tra domanda e offerta perché il gas può girare un po’ più liberamente.
Per quanto riguarda il breve termine il Ministero della Transizione Ecologica ha varato un piano strategico nazionale. Inoltre, il Ministro Cingolani ha comunicato che il 28 settembre scorso è stato raggiunto in anticipo l’obiettivo di stoccaggio di gas del 90% (equivalente a circa 10,8 miliardi di metri cubi) grazie anche a Snam e al supporto di Gse e Arera. In tutti gli scenari possibili i consumi andranno necessariamente ridotti. Prima ancora della messa in atto del piano, gli italiani hanno già risparmiato circa il 5% a causa del caro bollette, ma per poter superare l’inverno bisogna almeno arrivare al 10% di risparmio sui consumi, richiesto nel piano del governo. A queste condizioni, immaginando inoltre la chiusura totale della Russia, tutte le forniture della Norvegia sarebbero convogliate verso la Germania più bisognosa, privando l’Italia di un ulteriore condotto. Dunque, si arriverebbe a marzo 2023 a quasi zero scorte intaccando anche quelle strategiche, senza prendere in considerazione uno scenario estremo di inverno rigido. Quello che è sicuro è che, indipendentemente da come chiuderemo l’inverno, con le scorte azzerate e il gas russo chiuso in tutta Europa, dovremo invertire rotta per il futuro e trovare un rimedio alla dipendenza dal gas.