Fenomenologia di Greta Thunberg

In un sistema in cui ogni giorno tanta fama si crea quanta se ne distrugge, Greta Thunberg ha ricavato per sé uno spazio di rilevanza non negoziabile, diventando un punto di riferimento cruciale soprattutto per quella parte di società spesso dipinta come più egocentrica e volubile: gli adolescenti. Grazie alla caparbietà con cui persegue solo risultati concreti, una qual fotogenia e un’idea molto precisa di futuro, Greta Thunberg ha accumulato un seguito da popstar. Ma da solo non basta per riformare l’umanità

Differenze inconciliabili

Quando Greta debutta su Instagram, nel giugno del 2018, ha 15 anni, un cane e apparentemente niente di speciale: è una ragazzina svedese che ha vinto un concorso letterario indetto da un quotidiano sul cambiamento climatico, e approfitta dei social per vantarsi un po’. Cosa davvero sta succedendo nella vita di Greta Thunberg in quel periodo lo racconterà poi sua madre, Malena Ernman, nel libro La nostra casa è in fiamme. O meglio: è precisamente nella storia che sua madre sceglie di raccontare che riconosciamo gli indizi di un successo comunicativo planetario.

Per cominciare, Greta è sempre stata una bambina speciale. A otto anni in classe le fanno guardare un documentario sui rifiuti che ingombrano gli oceani – «Un’isola di plastica, più grande del Messico, galleggia per il Pacifico meridionale» – e lei comincia a piangere. Anche i suoi compagni lì per lì sembrano turbati, ma poi nei corridoi tornano a occuparsi di telefonini, vacanze di Pasqua, viaggi a New York. Greta no: «Non riesce a conciliare niente di tutto questo con le immagini che hanno appena visto insieme. I conti non tornano, e quel senso di solitudine e disperazione non vuole proprio andarsene. Se non fosse stata “diversa”, sarebbe stata capace di gestire quella sensazione, come facciamo noi», scrive la madre. Invece, nella mente di Greta, lo scollamento tra la gravità del problema ambientale e la disinvoltura con cui tutti si ostinano a vivere come al solito diventa sempre più profondo: irreparabile. A 11 anni smette di mangiare, di parlare, di sorridere. Inizia un doloroso percorso di visite e valutazioni che approda a una diagnosi: sindrome di Asperger, disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, disordine ossessivo-compulsivo. Scrive ancora la madre: «Greta ha una diagnosi, ma questo non esclude il fatto che lei abbia ragione, e il resto di noi completamente torto. […] Lei ha visto quello che noi ci rifiutiamo di vedere. Appartiene a quella esigua minoranza di persone che riescono a vedere le emissioni di CO2 o occhio nudo. Non letteralmente, certo. Tuttavia lei ha visto l’abisso invisibile, senza rumore né colore né odore, che la nostra generazione ha deciso di ignorare».

È per alleviare questo insopprimibile male di vivere che i genitori decidono di assecondarla. Sono intellettuali svedesi – demograficamente i più attenti del mondo alle questioni ambientali – ma le decisioni che prendono vanno ben oltre le buone pratiche quotidiane. Una per tutte: Malena Ernman si impegna a non salire mai più su un aereo, e di fatto pone fine a una prestigiosa carriera nella lirica, con remunerative incursioni pop. L’intera famiglia si converte a uno stile di vita a impatto minimo, nonostante le perplessità dei medici: «È importante che i genitori non adottino la diagnosi, perché altrimenti può insorgere una sorta di autismo fantasma, e se si lascia troppo spazio alla diagnosi il problema finirà col crescere […] Eppure ci sono giorni in cui noi decidiamo di assecondare la diagnosi, perché a volte è la diagnosi, non la norma, ad avere senso». È solo quando Greta riconosce negli altri – a partire dai familiari – le stesse sue preoccupazioni che impara ad assumere il controllo di se stessa, e la sindrome diventa quello che la narrazione ripetutamente identifica come il suo «superpotere: quel modo di pensare out-of-the-box di cui parlano spesso creativi, artisti e celebrità». Il primo sciopero del clima, da sola davanti al Riksdag di Stoccolma, avviene un venerdì: è il 20 agosto 2018.

Secondo Telmo Pievani, evoluzionista, docente di Filosofia delle scienze biologiche all’Università degli studi di Padova, questo è un aspetto piuttosto critico della costruzione dell’immagine di Greta: «Di mio, sono molto scettico sull’attribuzione ai ragazzi di capacità mentali particolari, e sul collegamento tra ragazzi intellettualmente superdotati e sindromi come l’Asperger. Molto spesso sono delle proiezioni dei genitori che non fanno per niente bene ai figli, perché a 15, 16 o 17 anni crescere significa anche acquisire autonomia e indipendenza. E comunque si rischia di dimenticare che l’autismo è l’indice di un disagio, di una sofferenza, e non una condizione che favorisce particolari capacità mentali, di analisi o di profondità. Se da un lato c’è il rischio di subire una discriminazione, dall’altro c’è quello di un’idealizzazione altrettanto pericolosa».

Saranno famosi

Scorrendo il profilo Instagram di Greta Thunberg a partire dalla foto pubblicata la mattina di quel 20 agosto, appare evidente come l’urgenza di protestare sia un tutt’uno con l’urgenza di documentare la protesta. Ogni giorno una sua foto con il cartello scritto a mano – «Sciopero scolastico per il clima» – guadagna impressioni sul web: in pochissimo tempo l’immagine di Greta diventa (pervasiva come) un meme. A settembre il Guardian pubblica la prima intervista: praticamente un’investitura. Greta è già una creatura eccezionale: lo sguardo è fermo, il raro sorriso esprime matura consapevolezza. Nessuna rinuncia la turba, nessuna frivolezza la tenta. La scrittrice Margaret Atwood, in un podcast del collettivo Extinction Rebellion pubblicato alla fine del 2019, azzarda un paragone: «È meravigliosa, refrattaria a ogni insulto. Una specie di Giovanna d’Arco ambientalista: le manca solo il cavallo bianco». La forza retorica di Greta (e anche il suo principale limite, come vedremo) risiede nel contemplare una sola verità, quella della scienza: la pratica umana deve porsi al servizio dell’ecosistema. In questo universo di valori la distinzione tra il bene e il male è manichea – «Non esistono zone grigie quando si tratta di sopravvivenza», ripete nei suoi discorsi – e ogni compromesso impossibile: una visione del mondo che ai giovani risulta piuttosto familiare. Risolvere la crisi climatica diventa pertanto un dovere morale, di cui Greta si fa inarrestabile paladina.

«La chiave del suo successo è senza dubbio la semplicità estrema del messaggio», ci dice ancora Telmo Pievani, «Lei lo ripete in vari modi, ma essenzialmente è sempre lo stesso: ascoltate la scienza, e fatelo subito perché state scaricando su di noi un debito ambientale, e questo è ingiusto. L’altro fattore fondamentale è proprio l’estrema personalizzazione. Greta è un personaggio che polarizza, che richiama l’attenzione per la sua età, il suo modo di porsi. Realizza una di quelle formule magiche della comunicazione che ogni tanto fanno la scintilla. Sono le dinamiche della leadership, difficili e anche piuttosto irrazionali: oltre al messaggio, c’è una combinazione di caratteristiche contingenti grazie alle quale, in certi momenti, certe figure riescono a intercettare una domanda che esisteva già: un sentimento profondo di massa di cui il leader si fa interprete. Prima di Greta parlavamo di cambiamento climatico in tante sedi diverse: era un fenomeno notato e discusso, ma molto difficile da definire perché è un processo lento, non lineare, molto complesso. Il fatto che a un certo punto sia venuta fuori una figura capace di simbolizzarlo – raccontarlo, denunciarlo – ha permesso di fare un grande passo in avanti nella sensibilizzazione e nella consapevolezza. È stata proprio una rivoluzione. In un certo senso è lo stesso bisogno cui ha dato risposta Papa Francesco con l’enciclica Laudato si’: un’operazione molto efficace anche dal punto di vista della comunicazione. Ovviamente la Laudato si’ ha riferimenti diversi, rappresenta una evoluzione del magistero della Chiesa che si rivolge ai credenti. Ma per il pubblico esterno è una giunzione nuova tra linguaggi diversi: quello che c’è scritto è ovviamente molto in sintonia con quello che dice Greta, ma soprattutto è in perfetta sintonia con quello che si trova oggi scritto su Nature, Science, Lancet, le più grandi riviste scientifiche al mondo. È una prospettiva di alleanza tra la comunità scientifica e un’autorità spirituale, e questo secondo me è molto positivo».

L’«eroico individualismo» di Greta è un tratto caratteristico del Celebritus politicus, il testimonial celebre che negli ultimi anni ha stravolto l’iconografia delle grandi cause, sostituendosi alle «vecchie immagini di orsi polari che annegano; bambini africani affamati e coperti di mosche; e persino alle ONG per i diritti umani come Amnesty International», arrivando a rappresentare – misticamente potremmo dire: a incarnare – l’intera questione. Un’altra caratteristica del Celebritus politicus è quella di essere completamente orientato al mercato: in diretta concorrenza con le cause rappresentate da altre celebrità, allo scopo di massimizzare visibilità e donazioni, e con l’obiettivo imprenditoriale di guadagnare la più estensiva copertura mediatica possibile per sé e per il prodotto che rappresenta. Ma a differenza del Celebritus politicus – è doveroso sottolineare – Greta non favorisce l’iniziativa privata, ma anzi considera gli stati e le associazioni governative come principali interlocutori.

Effetto Greta

Il fatto che sia stata proprio la madre, Malena Ernman, a definire la cornice entro cui interpretare l’evoluzione di Greta ha insospettito alcuni osservatori, che hanno voluto vedere nell’incondizionato sostegno materno un cinico calcolo “momageriale” – lo stesso che anima nell’immaginario collettivo le mamme manager di tutte le bambine prodigio, dalla straziante Anna Magnani di Bellissima in giù. Non ci sono elementi concreti a supporto di questa tesi: sicuramente i Thunberg-Ernman hanno acquisito maggiore notorietà – e forse si potrà discutere dell’eventuale effetto-traino sulla neonata carriera canora della sorella Beata – ma tutti i proventi derivanti dalle attività di Greta, dai premi alla vendita dei libri, vengono reindirizzati in beneficienza, e ogni tentativo di associare l’immagine di Greta a eventi o prodotti è sempre stato respinto categoricamente. 

Sarebbe però superficiale non riconoscere nella costruzione dell’immagine di Greta Thunberg una profonda conoscenza delle dinamiche della celebrità. È la stessa Ernman a scrivere nel libro: «Tenete presente che potrebbe bastare una singola popstar, una influencer, per ridisegnare la mappa. Il potere delle celebrità è senza dubbio problematico, ma questa è la realtà nella quale viviamo oggi, e certo non abbiamo il tempo di cambiarla. Il vantaggio è che, in un mondo iperconnesso come il nostro, è sufficiente che un re, una superstar o un papa si battano a favore delle Emissioni Zero per rendere possibile il cambiamento». È quindi plausibile che, a un certo punto, i Thunberg-Ernman si siano trovati a costruire la loro celebritas ex-machina in autonomia.

L’operazione ha il vantaggio di avvicinare al grande pubblico un problema complesso, storicamente penalizzato dalla difficoltà cognitiva di attribuire rilevanza a temi che si collocano oltre l’orizzonte dell’immediatezza, e di spostare il discorso dal piano teorico della scienza e della politica alla sfera della cultura popolare, che favorisce il coinvolgimento emotivo. Ma ci sono anche dei rischi, avverte Oscar Ricci, autore del libro Celebrità 2.0. Sociologia delle star nell’epoca dei new media (Mimesis, 2013): «Sicuramente possiamo definire Greta Thunberg una celeb, e proprio in quanto tale è bersaglio delle critiche comunemente rivolte alle celebrità che si occupano di temi sociali. Tipica è quella di appartenere a una casta, i famosi “radical chic”. Lo abbiamo visto quando per raggiungere il summit sul clima dell’Onu a New York invece di prendere un aereo ha attraversato l’Atlantico in barca a vela (offerta da Pierre Casiraghi, terzo figlio della principessa Carolina di Monaco, ndr): va bene l’impatto zero, pensa la gente, ma chi può permettersi un viaggio del genere? È un aspetto con cui Donald Trump, per esempio, ha giocato molto nel 2016 per rispondere alla quasi totalità di star di Hollywood che gli sparava contro, e per lui quella volta funzionò piuttosto bene».

Alessandro Milan, giornalista e scrittore, conduce su Radio24 la trasmissione Uno, nessuno, cento Milan, e attraverso il “microfono aperto” coltiva da anni un rapporto diretto con gli umori del pubblico. Il suo è perciò un punto di vista privilegiato sulle reazioni al fenomeno: «Greta ha totalmente rotto gli schemi un po’ vecchi di un’Italia in cui solo le persone che hanno alle spalle studi ed esperienza sono titolate a parlare, e in poco tempo è diventata l’icona di un movimento. Ma ho visto nascere anche tanta cattiveria nei suoi confronti: sia per le difficoltà legate alla sindrome di Asperger, sia per il suo essere considerata una giovincella senza altro da fare, magari manipolata dai genitori. Il fatto che sia una ragazza, poi, scatena risposte ancora più aspre: se fosse un maschio non sarebbero così critici e duri, su questo non c’è dubbio. E se da una parte i giovani, in maniera a volte anche esagerata, vedono in lei un nuovo guru, man mano che si va avanti con l’età compare quell’atteggiamento un po’ sprezzante per cui si pensa che le generazioni successive siano sempre peggiori delle generazioni precedenti. Un certo trombonismo, diciamo».

La risposta più efficace a queste critiche è l’imperturbabilità di Greta: una capacità rara di attraversare i contesti mediatici più disparati – dalla copertina di Teen Vogue a quella di Time, dov’è stata Person of the Year nel 2019; dallo studio tv di Ellen DeGeneres al podio dello World Economic Forum – mantenendo inalterata la potenza del messaggio. Un successo che riflette lo straordinario impatto della sua presenza sui social network. In un intervento all’ESOF 2019 di Trieste, Massimiano Bucchi, docente di Sociologia della Scienza all’Università degli studi di Trento, ha sottolineato come «nella comunicazione sui social media, l’autenticità [sia] considerata uno degli elementi centrali. […] Per analizzare “l’effetto Greta Thunberg”, inoltre, bisogna prendere in considerazione sia la natura che la percezione della questione del cambiamento climatico. Dal momento che rappresenta una sfida per tutti gli abitanti del pianeta Terra, ci si aspetta che l’approccio sia imparziale: al di là delle divisioni politiche, dei confini nazionali e degli interessi specifici. L’appello all’azione di una giovane studentessa, senza particolari interessi o ambizioni di carriera, può riempire questo vuoto almeno da un punto di vista comunicativo».

I ragazzi del venerdì

Di fatto, l’arcinemico di Greta Thunberg è la classe politica, alla quale viene attribuita con fermezza la responsabilità di non voler risolvere la crisi climatica nonostante le ricette della scienza siano solo da implementare: «Per troppo tempo i potenti hanno potuto passarla liscia senza far niente per evitare il collasso ecologico e climatico. Hanno potuto impunemente rubare il nostro futuro, e venderlo per profitto. Ma adesso noi giovani ci stiamo svegliando», ha annunciato nel 2019 all’Austrian Word Summit di Vienna. Martina Comparelli, laureata in Sviluppo internazionale e studentessa online di Climate Change and Health all’università di Yale, portavoce di Fridays for Future Milano, riconosce la delicatezza del ruolo pubblico della fondatrice del movimento: «Il problema è che nel momento in cui Greta parla di crisi climatica, la stampa finisce per parlare di Greta: questo è fastidioso, ma anche inevitabile. A volte sembra persino che venga invitata soltanto per poter dire che “noi giovani” siamo stati ascoltati. Quello che vorrebbe Greta – quello che vorremmo noi – è che al centro dell’attenzione ci fosse il clima, sempre. Spesso invece nelle interviste le domande sono legate alla sua persona, alla sua vita, magari al film appena uscito… Greta è bravissima a riportare il discorso sul piano dell’azione, e a utilizzare quell’attenzione per il suo scopo: quando le viene data una piattaforma, la usa per evidenziare le contraddizioni che hanno portato a questa crisi, e riesce sempre a sottolineare come il punto non sia mai “ascoltate me” ma sempre “ascoltate la scienza”. Greta ha detto spesso che sentiva il bisogno di fare tutto quello che era in suo potere per cambiare le cose, e man mano ha avuto a disposizione sempre più strumenti, sempre più potere. Quindi ogni volta che va a parlare da qualche parte io non posso che essere felice, perché so che quello che dirà sarà comunque utile alla nostra causa».

Con gli stessi meccanismi con cui la celebrità genera valore monetario, Greta Thunberg ha costruito un capitale emotivo di fortissimo impatto: è un avatar generazionale che rappresenta le istanze del futuro nei forum internazionali, articolando un’identità collettiva di cittadinanza globale determinata a prevalere: «Se le soluzioni all’interno del sistema sono impossibili», non ha paura di ipotizzare, «forse dovremmo cambiare l’intero sistema». Come lei, i ragazzi di Fridays for Future non temono la complessità, anzi: «Bisogna smettere di ridurre tutto alla semplice visione ambientalista», dice ancora Comparelli, «non si tratta di mettere un qualche green scritto qua e là, o usare “sostenibilità” come intercalare. Quello di cui parliamo è più ampio: è il modo in cui la scienza di quello che sta accadendo si interseca con il nostro modo di vivere, con l’economia, con i diritti umani. Uno dei nostri pilastri è proprio la giustizia climatica, una forma di giustizia sociale nei confronti di chi soffre e soffrirà sempre di più questa crisi. È una visione sistemica che manca, ma questa è la cosa più difficile da far passare. Finora ho visto soltanto cambiamenti a livello sociale, però è anche vero che quando nasce un sentire collettivo, una necessità dal basso, prima o poi la politica la percepisce. E magari è vero che molti di noi non sono ancora elettori, ma tanti altri sì o lo saranno presto: più siamo, e più facciamo massa critica».

Carlo Monguzzi, consigliere comunale di Milano, già Assessore regionale all’Ambiente ed Energia (1993) e tra i fondatori di Legambiente, ha una visione meno ottimista: «Con quella faccia seria, Greta interpreta il suo ruolo di monito in maniera meravigliosa, ed è riuscita in quello che noi ambientalisti non siamo mai stati capaci di fare: mobilitare gli adolescenti. Per l’ambiente prima di lei si muovevano le persone particolarmente sensibili, quelli di sinistra, le mamme che volevano aria pulita per i bambini in carrozzina… gli adolescenti, no. Gli adolescenti si muovono solo sull’onda di emozioni forti, e Greta ha innescato questa reazione. Purtroppo, però in Italia il clima non è mai stato un tema elettorale, la gente vota secondo altre sensibilità: prima viene il lavoro, prima viene la sicurezza. E infatti per il governo la crisi climatica proprio non c’è, non esiste: come se nessuno li avesse mai informati. La regione invece – parlo della Lombardia – è aggiornata, ma se ne frega altamente. Il comune di Milano, del quale io faccio parte, conosce il problema e in teoria lo condivide, ma c’è una distanza siderale tra le parole e i fatti. Il gruppo di Fridays For Future, almeno qui, mi sembra molto estremista. Dicono che “bisogna cambiare il sistema” e va benissimo, ma questo è un titolo: ora che cambiamo il sistema è bruciato il mondo. Invece dobbiamo fare piccole cose in continuazione, tutti i giorni: battere su una cosa, poi sull’altra, poi sull’altra. Un’auto in meno in giro è già una cosa buona, anche se non è un cambio di paradigma: la via è quella».

La storia siamo noi

Se formidabile è stata la trasformazione del gesto rivoltoso di una ragazzina “fissata col clima” in un movimento di protesta globale, che sta imparando a definirsi oltre la celebrità della sua leader, riuscire a calare questa idea di rivoluzione nella realtà è la sfida più attuale. Patrizia Catellani, professoressa ordinaria di Psicologia Sociale all’Università Cattolica di Milano, ne La nuova partecipazione politica: tra pensieri veloci e pensieri lenti, riconosce che «Chi riesce a trasformare in efficace linguaggio iconico un tema trova la strada per attirare l’attenzione del cittadino. Si pensi ad esempio a come […] la sensibilità per i cambiamenti climatici sia stata rapidamente aumentata dal fatto che una giovane donna di nome Greta Thunberg abbia riassunto in sé, in modo esplicito e dirompente, molta della sensibilità ambientale che si è sviluppata nelle nuove generazioni». Spesso però questa modalità di elaborazione rapida si traduce in una qualità meno ragionata dell’azione collettiva. Su nostra richiesta, Catellani approfondisce: «Greta ha il merito di aver riportato i giovani a lottare per qualcosa di condiviso. E sicuramente lo sviluppo di un’identità collettiva politicizzata, basata anche su forti emozioni, valori condivisi, obbligo morale ad agire, è fondamentale perché un movimento possa imporsi. Il problema però è che per allargare il consenso ci vuole un fronte moderato, che coinvolga anche altre generazioni, e che porti avanti argomentazioni non estremiste o palesemente irrealizzabili. I giovani devono svolgere questo ruolo di massa d’urto, di provocazione. Ma spetta poi alle generazioni più mature incanalare questa forza, e sta alle istituzioni tradurre queste sfide in qualcosa che può essere realizzato tenendo conto di vincoli politici e sociali. Nonsaranno certo gruppi di giovani con atteggiamenti come quello di Greta a smuovere gli scettici, che anzi si polarizzeranno ulteriormente. Saranno invece cambiamenti graduali e capillari sui territori, favoriti dalla collaborazione tra istituzioni globali e locali, a cambiare gradatamente il punto di vista delle persone, anche quelle inizialmente meno sensibili a queste problematiche». Per entrare nelle cronache basta la popolarità: per cambiare la storia, pure se hai molta fretta, serve un passo più disteso.

Bibliografia

La nostra casa è in fiamme; Greta Thunberg, Svante Thunberg, Malena Ernman, Beata Ernman; Mondadori Strade Blu, 2019

Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza; Greta Thunberg, Mondadori; 2019

Don’t Call it Climate Populism: On Greta Thunberg’s Technocratic Ecocentrism; Mattia Zulianello e Diego Ceccobelli; Political Quarterly Publishing Co, 2020

Celebritus Politicus, Neo-liberal Sustainabilities and the Terrains of Care Chapter for Contemporary Icons: The Cultural Politics of Neoliberal Capitalism; Gavin Fridell and Martijn Konings; University of Toronto Press, Scholarly Publishing Division, 2013

Celebrities and Climate Change: History, Politics and the Promise of Emotional Witness; Julie Doyle, Nathan Farrell, Michael K. Goodman; The Oxford Encyclopedia of Climate Change Communication. Oxford University Press, Oxford, 2018

La nuova partecipazione politica: tra pensieri veloci e pensieri lenti; Patrizia Catellani; Politica oltre la politica. Civismo vs autoritarismo, Feltrinelli, Milano 2019: 90-113

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