Il tema delle emozioni è fondamentale per lo studio del comportamento umano. La loro complessità e la loro potenza è tale che esistono decide di definizioni per questo universo selvaggio.
All’inizio del terzo millennio abbiamo conoscenze tali da poter affermare che il contributo delle emozioni influenza in modo rilevante lo sviluppo intellettivo e culturale dell’individuo a livello neurofisiologico, affettivo e cognitivo; l’ambito emotivo ha però grande rilievo anche nello sviluppo delle dinamiche sociali. Le emozioni regolano infatti tutti i rapporti umani, guidando l’individuo verso la relazione con altri.
Di emozioni trattava già Aristotele, che le considerava moti dell’animo che ci spingono a rispondere ai bisogni primari dell’esistenza, per la protezione della famiglia e dello stato. Le emozioni per Aristotele sono espressioni dell’anima, ma devono essere considerate in posizione subordinata rispetto a scienza, arte, saggezza, sapienza e intelligenza, che costituiscono l’anima razionale. Aristotele ammette la necessità di emozioni, ma le considera positive fintantoché restano sotto il governo dell’anima razionale.
Questo pensiero ha per molti secoli influenzato la cultura europea, arrivando a suggerire una sorta di controllo politico e culturale delle emozioni – considerate pericolose- e ha portato a relegare lo sfogo delle espressioni emotive del popolo solo all’interno di luoghi in qualche modo “controllati” dal sistema, come le feste dionisiache in Grecia, gli spettacoli di gladiatori nell’antica Roma.
La cultura europea è rimasta legata allo schema aristotelico per quasi due millenni; la storia, la letteratura, la filosofia, ci hanno regalato importanti opere dedicate alle emozioni, si pensi a Cartesio, e Spinoza e il Romanticismo, ma queste non sono state in grado di scalzare la concezione che ragione ed emozione siano due poli contrapposti, in contrasto e di diverso valore.
E’ solo con Charles Darwin, alla fine dell’Ottocento, che si inizia a considerare il ruolo delle emozioni nella vita dell’uomo in un’ottica diversa. Darwin pubblica nel 1872 un’opera che ha rappresentato il punto di partenza per il dibattito psicologico sulle emozioni; si supera la dicotomia aristotelica: si definiscono le emozioni come elementi funzionali alla sopravvivenza dell’individuo o della specie.
Su queste basi, nel corso del ‘900, la psicologia ha attribuito diversi ruoli alle emozioni nel processo di sviluppo dell’individuo: approcci comportamentisti, cognitivisti, psicoterapeutici relazionano diversamente le emozioni agli stimoli, ma ne esaltano tutti il ruolo centrale.
Le emozioni sono state inoltre un elemento fondamentale nello studio della relazione tra apprendimento e memoria. I moderni studi di neuropsicologia cognitiva hanno dimostrato che l’apprendimento non è una facoltà unitaria della mente, ma è costituito da processi mentali distinti: l’apprendimento esplicito, atto volontario e razionale, e l’apprendimento implicito, che riguarda processi quasi automatici, collegato all’ambito emotivo. Negli anni ’60 fu scoperto che l’apprendimento esplicito dipende dalle strutture del lobo temporale della corteccia cerebrale, mentre quello implicito interessa l’amigdala, una parte del cervello collocata tra i due lobi temporali. Quest’ultima area è coinvolta nell’elaborazione rapida e non raffinata degli stimoli emotivi; è in grado di dare reazioni rapide e istintive, volte a garantire la sopravvivenza di fronte a un pericolo. Forse per la stessa finalità la forza della memoria emotiva è maggiore rispetto a quella razionale. E’ inoltre incancellabile e selettiva. La parte di cervello emotivo, infine, riveste un ruolo sociale importantissimo: ci aiuta a comprendere il pensiero altrui grazie a capacità come l’empatia e l’autocoscienza.
E’ sorprendente come la potenza generata dalla combinazione di questi due processi, generi qualcosa che ha un valore superiore alla somma delle parti.
Ridley Scott ha mirabilmente rappresentato in Blade Runner nel comportamento dei replicanti le emozioni come vero e proprio “movente” alla base dei comportamenti individuali; forse è il meccanismo più potente; l’emotività è guida nell’interpretazione della realtà, ovvero è in grado di regolare la nostra capacità di percezione. L’emozione è elemento chiave nella formulazione delle idee: il pensiero non è originato solo da un atto di volontà- pensiero razionale- ma dalla sua combinazione con la sfera delle emozioni.
La famiglia è il luogo primario in cui l’individuo dovrebbe avere l’opportunità di sperimentare ed apprendere strategie per gestire le emozioni. Ma il compito di promuovere lo sviluppo di individui completi dovrebbe suggerire di considerare anche la componente emotiva all’interno del luogo dell’educazione formale, la scuola. E’ peraltro vero che per secoli le tendenze dominanti nel sistema di istruzione sono state orientate a principi curriculari, secondo i quali era superfluo considerare le componenti emotive. Il contributo di illuminati pedagogisti è spesso rimasto marginalizzato, e non ha raggiunto i sistemi scolastici di massa. Il risultato di questa storia è rappresentato da sistemi scolastici che generano individui con grandi abilità ma grandi fragilità. Solo recentemente si hanno segnali di rivalutazione del ruolo della componente emotiva nell’ecosistema scolastico, in relazione all’apprendimento; si opera finalmente formazione dei docenti in tal senso. La potenza di un sistema scolastico orientato ad attivare le strutture emotive, piuttosto che pratiche riduzioniste e curriculari, volte a massimizzare competitività e apprendimento meccanico, potrebbe quindi essere notevole. Vogliamo crederci!