La vita degli albini d’Africa: fra discriminazione e riscatto

L’estensione del concetto di razzismo, secondo il dizionario italiano, fa riferimento a “qualsiasi discriminazione esacerbata a danno di individui e categorie”. Ciò che sta accadendo agli albini africani è un esempio di come le credenze e le consuetudini siano il principale carburante dell’odio e del razzismo.

Il termine albino sembra derivi da un esploratore Portoghese, che osservando la presenza di persone sia con la pelle chiara che con la pelle scura pensò che si trattasse di due razze (quando ancora si credeva che esistessero) distinte: chiamò i primi albini (dal latino albus, bianco), i secondi negri (dal latino niger, nero).

Biologicamente l’albinismo è un’anomalia congenita ereditaria che causa la riduzione o la totale assenza nella produzione di melanina, il pigmento che conferisce il colore. Può colpire la pelle, i capelli, i peli e gli occhi (albinismo oculocutaneo o  OCA) oppure limitarsi ai soli occhi (albinismo oculare o OA).

L’albinismo OCA si stima colpisca uno su 37.000 persone negli Stati Uniti mentre nella maggior parte del mondo il rapporto aumenta a uno su 20.000. Sono però le regioni subsahariane dell’Africaquelle di maggiore incidenza: le stime parlano di circa uno su 4000 nello Zimbabwe, uno su 1429 in Tanzania, mentre in alcune regione del Niger si arriva fino a uno su 1000.

La produzione di questo pigmento riguarda un alto numero di geni ed è deputata a un particolare gruppo di cellule chiamate melanociti, al cui interno sono presenti delle particolari strutture cellulari, i melanosomi, nei quali avviene l’effettiva produzione di melanina. I melanosomi, migrando verso le cellule della pelle, i cheratinociti, ne determinano la colorazione.

Gli esseri umani presentano un numero sostanzialmente simile di melanociti, mentre l’attività di queste cellule varia tra le differenti popolazioni in base agli stimoli che hanno subito durante la loro storia. Di fatto la colorazione della pelle nell’uomo è uno degli esempi più evidenti di come l’uomo si sia adattato a differenti contesti ambientali nel corso della sua evoluzione.

L’effetto fotoprotettivo della melanina è estremamente importante per proteggere le cellule dagli effetti dannosi dei raggi UV provenienti dal Sole. Per questo le popolazioni che vivono nelle zone equatoriali presentano solitamente una maggiore pigmentazione, che risulta invece molto ridotta spostandosi a esempio verso alte latitudini.

Se da una parte non è possibile stimare il numero reale delle vittime tra gli albini africani, dall’altra il movente è facilmente identificabile nelle credenze popolari, come la stregoneria e la superstizione, ma è anche di tipo economico. Perché il mercato degli organi e delle parti del corpo, impiegati anche per creare amuleti o pozioni, muove enormi quantità di denaro.

In Tanzania, dove queste persone vengono chiamate zeru zeru, che significa “fantasmi”, molti credono che il loro sangue abbia un colore diverso o addirittura che siano immortali.
Queste credenze, così fortemente radicate, soprattutto nelle zone rurali, costringono le persone affette da albinismo a vivere in uno stato di continuo pericolo per la propria vita, con il rischio di subire discriminazioni e uccisioni con lo scopo di ottenere parti del corpo e organi, ma anche di isolamento sociale e di povertà causate dall’impossibilità di trovare un lavoro.

È il ruolo degli stregoni, i quali si approfittano dell’ignoranza e delle superstizioni, ad alimentare le credenze che le persone affette da albinismo possiedano qualità magiche. Diffondono la credenza che le loro parti del corpo usate in ciondoli e pozioni portino ricchezza, potere e buona fortuna.

Un ruolo fondamentale nel contrasto a queste pratiche è giocato dalle organizzazioni, come la ONG Under the same sun che dal 2008 si è posta l’obiettivo di “porre fine alla discriminazione e alla violenza contro le persone con albinismo e facilitare l’inclusione e la partecipazione sociale. Facciamo questo attraverso la difesa e l’educazione. UTSS agisce a livello globale, con un focus attuale sulla Tanzania.”

Matteo Fraschini Koffi è un giornalista italo-togolese che ben conosce il fenomeno dell’albinismo in Africa. Dopo aver vissuto molti anni in Italia è tornato nel 2005 nel suo Paese di origine dove oggi vive e lavora.

Matteo, qual è oggi la situazione degli albini in Africa?

«Da 10 anni a questa parte le persecuzioni contro gli albini, per quello che si sa, vengono combattute molto di più sia dalle autorità, che dalle organizzazioni dei diritti umani ma perfino dalle persone stesse che cominciano a denunciare. All’ONU oggi c’è un’esperta della questione ed è un’albina di origini nigeriane. Sicuramente la questione viene affrontata molto più di prima, ma ancora oggi le persecuzioni continuano. È difficile capire le reali dimensioni di questo fenomeno. Molta gente ignorante pensa che gli albini possano avere poteri strani e quindi li uccidono e discriminano. Questo continuerà fino a quando non ci sarà una maggiore coscienza civile, locale e internazionale.»

Quello nei confronti degli albini può essere considerata una forma di razzismo?

«Sicuramente il razzismo è una discriminazione a livello di colore della pelle quindi può esserci una connessione. Molti albini sono considerati dei bianchi, ancor prima di persone malate. Il razzismo è qualcosa di molto più grande, che ha un impatto a livello interazionale. Gli albini in occidente non vengono perseguitati mentre in Africa sì.»

Le discriminazioni e le violenze contro gli albini, in Africa, sono un fenomeno recente o hanno sempre avuto luogo?

«Ci sono sempre state, di recente c’è solo che la stampa ha cominciato a parlarne. Io in Kenya nel 2006 ho intervistato Lupita Nyong’o, l’attrice vincitrice di un Oscar, che è keniotae aveva fatto per la sua università un documentario sugli albini in Kenya ed erano gli albori della pubblicazione di queste storie sia a livello internazionale che locale.»

Parlando invece della situazione dei bambini: riescono a frequentare le scuole o anche in questo ambiente c’è disparità?

«Anche le scuole sono coinvolte. Ne esistono alcune, non tanto per gli albini quanto per disabili e ciechi. Ricordiamo che l’albinismo può portare anche a cecità quindi le autorità preferiscono mettere gli albini in queste scuole, anche per evitare l’emarginazione. Ma le cose stanno cambiando in quanto ci sono sempre più albini che ce l’hanno fatta e oggi hanno una professione e a loro volta hanno figli albini che sanno come gestire sin dall’infanzia.»

E le famiglie di questi bambini subiscono qualche tipo di discriminazione?

«Le discriminazioni hanno molte sfaccettature in quanto c’è legato qualsiasi tipo di credenza e spesso le famiglie preferiscono nasconderli o addirittura ucciderli per evitare la vergogna di aver partorito un figlio o la paura di essere punite dalla famiglia o dal villaggio.»

Quindi la situazione nelle città è migliore rispetto alle zone rurali?

«Nelle città c’è più possibilità di trovare persone che capiscono e sono istruite e sanno che l’albinismo è una malattia e non una magia. Infatti nelle città vivono molti albini che vivono tranquilli. Mentre è molto difficile capire il fenomeno nei paesi rurali.»

Cosa stanno facendo realmente gli stati africani maggiormente interessati, basti pensare allo Zimbabwe, Tanzania e Niger in favore degli albini?

«È difficile capire le reali cifre del fenomeno, in quei luoghi c’è sicuramente una maggiore coscienza del problema. Tra i paesi che puniscono per legge chi commette crimini contro gli albini c’è la Tanzania, ma sta iniziando anche il Malawi.»

Organi e parti del corpo di persone albine possono essere vendute sino a 75 mila dollari. Secondo te sono cifre reali?

«Non mi stupirebbe. Si tratta di credenze popolari, come quelle legate ai corni dei rinoceronti o alle zanne di elefante utilizzate per le pozioni. Questo perché gli albini sono considerati magici e portatori di fortuna.»

Per gli albini, in Africa, potrà esserci un futuro positivo oppure queste violenze e discriminazioni sono destinate a rimanere radicate nella cultura popolare?

«Già oggi ci sono moltissimi cambiamenti per il meglio. Si trovano persone in situazioni molto migliori rispetto a soli dieci anni fa. Il fatto di parlarne e di stimolare le autorità a intervenire e fare leggi contro le persecuzioni sta migliorando la situazione. Si sta andando verso una maggiore coscienza. Anche se siamo ancora ben lontani da debellare il fenomeno.»

 

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