Il drammatico incidente avuto luogo lo scorso 25 gennaio presso la stazione di Pioltello, alle porte di Milano, ha messo in luce una grave falla del sistema ferroviario italiano. Il treno, partito da Cremona, stava percorrendo una delle tratte centrali della val Padana, in quel profondo nord abitualmente considerato un modello di efficienza per tutto il Paese, che si è invece accorto che le sue arterie di trasporto non sono immuni da catastrofi che il progresso ci aveva abituati a considerare alle nostre spalle.
Se la tragedia di 46 feriti e tre morti non può essere consolabile, esaminare i dati messi a disposizione dagli esperti del settore può essere utile per offrire una chiave di lettura non convenzionale, che allarghi la portata delle valutazioni oltre il perimetro dei fatti di cronaca raccontati nei giorni immediatamente successivi all’evento.
A tal scopo, è utile partire dai fatti: la Procura di Milano ha aperto un fascicolo di indagine per disastro ferroviario colposo, dal momento che l’incidente è stato causato dal cedimento di un pezzo di rotaia lungo 23 centimetri.
Un caso di cattiva manutenzione, come è parso subito ai mass media, che hanno gareggiato nel citare il “Rapporto Pendolaria 2018” di Legambiente Lombardia, che mette in guardia sulle criticità riscontrate sulla tratta Milano-Cremona, tanto quotidianamente carica di pendolari quanto soggetta a disservizi. Disservizi che consistono nel sovraffollamento delle carrozze e nei frequenti ritardi, all’interno di un quadro regionale in cui molte linee hanno mostrato di soffrire di molteplici forme di incuria.
Proprio su questa incuria pare utile compiere alcune sottolineature, estendendo lo sguardo sul livello del dibattito nazionale sulla gestione della rete ferroviaria. Si possono così scoprire alcuni dati in controtendenza, rispetto alla canonica narrazione dei fatti che riguardano questo settore. E, soprattutto, si può valutare se i termini della discussione mediatica nata in conseguenza all’incidente di Pioltello siano stati adeguati.
Per prima cosa, non è vero che le ferrovie italiane non ricevono adeguato sostegno: i trasferimenti dalla casse pubbliche a Ferrovie dello Stato (che controlla sia la gestione del trasporto che quella delle infrastrutture, grazie, rispettivamente, a Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana) sono tra i più alti d’Europa (4 miliardi all’anno). Proprio grazie a questi ingenti trasferimenti, le tariffe pagate dai viaggiatori italiani risultano essere, sempre a livello europeo, tra le più economiche.
Eppure, il trasporto ferroviario non brilla per efficienza e socialità. In parte perché una quota considerevole di risorse pubbliche vengono destinate a finanziare i progetti dell’alta velocità. Progetti estremamente remunerativi per Ferrovie dello Stato, e quindi importanti in sede di bilancio, ma destinati a una quota limitata di utenza. Siamo nuovamente di fronte all’ormai classico confronto di opportunità tra grandi opere e manutenzione delle infrastrutture locali? Non esattamente.
Il traffico delle aree periferiche è maggiormente esposto a disservizi a causa delle sue relativamente, se confrontate con le aree metropolitane, contenute dimensioni e utenze. Proprio questa condizione di scala ridotta non consente di giustificare interventi in grado di mutare profondamente la realtà del trasporto di queste aree: gli investimenti avrebbero un cattivo ritorno sia per la bassa utilità marginale dei benefici, sia se considerati in rapporto all’utenza (limitata, per quanto non privilegiata) che ne beneficerebbe. Più che investimenti statali che garantirebbero modesti vantaggi ambientali e sociali, la strada maestra per migliorare l’efficienza dovrebbe essere quella delle gare pubbliche periodiche per l’assegnazione del servizio locale, affinché sia il meccanismo della concorrenza a abbassare i costi degli interventi e a migliorare la qualità dei servizi.
Dunque, i disservizi denunciati dal citatissimo rapporto di Legambiente sono legati tanto alle dimensioni delle reti e dei territori a cui si riferiscono, quanto a scelte economiche e strategiche discutibili. Questa valutazione, che sta alla base di ritardi, sovraffollamenti e cancellamenti dei treni, può valere anche per l’ambito della sicurezza, e essere dunque riferibile all’incidente di Pioltello?
I dati del settore stimolano una diversa analisi. Le linee ferroviarie italiane sono tra le più sicure d’Europa, con un dato annuo di morti per incidenti inferiori a quelli di Francia e Germania. Gli incidenti ferroviari causano, in Italia, 5 morti l’anno, imparagonabili ai quasi 4.000 che il trasporto su gomma piange nello stesso arco di tempo.
Questo livello di sicurezza è garantito da investimenti annui pari a 1,2 miliardi di euro, che non avevano ignorato i disgraziati 23 centimetri di rotaia rei dell’incidente di Pioltello, in procinto infatti di essere sostituiti dopo che vi erano stati rilevati i primi indizi di cedimento. Il processo aperto stabilirà se si è trattato di una tragica fatalità, o se vi sono responsabilità umane. Resta il fatto che il sistema della sicurezza si era attivato correttamente: individuato un elemento di rischio, stava provvedendo a rimuoverlo, nei tempi concessi dagli strumenti tecnici a disposizione.
Questo fatto, del tutto decisivo, permette di considerare un’altra tematica, tanto ignorata quanto importante: la cultura del rischio e della sua gestione.
Nessuna attività umana è esente da rischi, che possono materializzarsi in eventi purtroppo drammatici. Uno sguardo scientificamente lucido non può che prenderne atto, e favorire azioni volte a minimizzarne le probabilità di accadimento e la gravità dei danni conseguenti. Ma non si può ignorare, e anzi bisogna sforzarsi di comunicare con chiarezza, che un loro totale azzeramento è irrealistico.
Un corretto dibattito sul rischio dovrebbe concentrarsi a evidenziare il costante calo dei livelli di vulnerabilità e del numero di vittime all’interno del sistema dei trasporti. Se queste valutazioni non possono certo consolare chi perde un proprio caro in un incidente, aiutano la collettività a interiorizzare una percezione del rischio scientificamente ponderata, che non ceda a irrazionali richieste di sicurezza universale: una tale domanda, pur emotivamente comprensibile, non può essere messa a disposizione dal progresso scientifico-tecnologico, e contribuisce solo a sviare il dibattito sul rischio lungo direzioni che non possono essere concretamente percorse.
Con riferimento ai treni, non è secondario ricordare, in conclusione, che il già citato numero di morti annue sulle rotaie è drasticamente inferiore alle decine di migliaia di decessi prematuri ogni anno causati dallo smog, un fenomeno di inquinamento che proprio il ricorso al trasporto pubblico contribuisce a mitigare. Una seria discussione sul rischio aiuterebbe a delineare la proporzione delle alternative in campo.
Bibliografia e sitografia:
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