La ricchezza dei parchi

“So anche” disse Candido “che bisogna coltivare il proprio giardino”.

Voltaire – Candido, o l’ottimismo, 1759

 

In Italia si contano 871 aree naturali protette, composte da 23 parchi nazionali, parchi regionali, aree marine, riserve naturali statali e regionali per un totale di 3.163.000 ettari di superficie protetta, ossia più del 10% del territorio italiano; questo risultato si deve principalmente alla “Legge quadro sulle aree naturali protette”, n. 394 del 6 dicembre 1991, considerata una delle migliori leggi di carattere ambientale del nostro Paese e attualmente sotto i riflettori per un tentativo di riforma da parte della Commissione Ambiente del Senato.

Abbiamo il 10% del nostro pregiatissimo capitale territoriale investito in una delle fonti di rendita più sicure e durature. Ma si tratta di semplice capitale immobilizzato?

Ciò che emerge dal convegno “La ricchezza dei parchi – Beni comuni e green economy” svoltosi il 5 ottobre 2012 a Pescasseroli (Aq) su iniziativa di Fondazione Symbola, Regione Abruzzo, Parco Nazionale dell’Abruzzo Lazio e Molise, Unioncamere, Federparchi e Camera di Commercio de l’Aquila è che i parchi nazionali sono realtà estremamente dinamiche in grado di produrre oggi il 3,2% della ricchezza dell’intero paese, permettendo all’agricoltura e al turismo di generare rispettivamente il 6,5% e il 5,9% del valore aggiunto nazionale nei loro settori. Non bastasse questo, nelle aree protette si produce, grazie alla dislocazione di 16 mila impianti fotovoltaici, il 4% dell’energia intero paese, 735 Gwh per una potenza pro-capite di 25 Kwh. Tutto questo per una spesa pubblica dello 0,01%: un caffè all’anno per ogni cittadino italiano.

“Il nostro sistema nazionale delle aree protette dimostra quindi di essere non solo un inestimabile patrimonio naturale e territoriale, ma anche un fattore importante di promozione dello sviluppo locale” – afferma  Domenico Mauriello, responsabile del Centro Studio Unioncamere; dati alla mano il valore aggiunto di imprese private che si genera nei 527 comuni dei 23 parchi nazionali italiani ammonta a 34,6 miliardi di euro.

A questo si aggiunge l’indiscutibile ruolo di cura e tutela degli habitat, della biodiversità e conservazione del territorio con politiche atte a contrastare il dissesto idrogeologico prodotto da una miope gestione edilizia, dall’abbandono dell’agricoltura di qualità e dalla desertificazione umana e naturale.

Senza disturbare la ricerca “pura”, ognuno di noi sa quale importante ruolo rivestano le aree verdi a ridosso delle nostre città: assorbono anidride carbonica liberando ossigeno (un faggio di 100 anni con superficie fogliare di 7.000 metri quadri è in grado di assorbire in un’ora 2,5 kg di CO2 e rimettere in circolo 1,7 kg di ossigeno), filtrano gli inquinanti (ozono, polveri e particolato), permettono un assorbimento del calore  (grazie ad ombreggiamento e raffreddamento) e del rumore, regolano i flussi di piena delle acque piovane, proteggono il suolo dall’erosione.

Talvolta, poi, le forme di vita che prosperano nei parchi naturali possono regalarci anche delle sorprese. È il caso di Thermus aquaticus, un batterio termofilo rinvenuto per la prima volta nelle pozze d’acqua calde del parco naturale di Yellowstone (USA). Il batterio è diventato importantissimo per la biologia molecolare in quanto sorgente di un enzima termostabile fondamentale per il processo di amplificazione del DNA tramite reazione a catena della polimerasi (PCR). Oggi il mercato della PCR è valutato intorno ai 200 milioni di dollari annui.

Insomma i parchi hanno tutta l’aria di un oggetto di investimento duraturo (il territorio, trattato con rispetto, ci sostenta da qualche centinaia di migliaia di anni), non una mera bolla speculativa in grado di esaurirsi in una decina di anni.

A  partire dagli anni ’80 sono stati proposti alcuni modelli economici in grado di valutare quantitativamente l’impatto economico di un parco; tra questi, nel tentativo di istituire un terreno comune per il dialogo, Giorgio Luciani e Gianluigi Ceruti di Italia Nostra, con la società di studi economici Nomisma di Bologna, progettarono di svolgere un programma di studi diretto a dimostrare la convenienza anche economica  della tutela della natura e del patrimonio culturale. Altri studi invece sfruttavano la metodologia a matrici input/output per un’analisi sul rapporto tra i diversi settori economici.

Causa la specificità di ogni singolo parco e delle reti locali che la sua istituzione genera, nessuno di questi studi ha davvero preso piede. Lungi dall’essere una perdita, Vincenzo Barone, economista di Economia&Ecologia S.r.l., individua proprio nella creazione di sistemi di relazioni specifiche e locali la forza economica dell’istituzione del parco in grado di consentire lo sviluppo delle singole aree.

Non tutti i parchi e le aree protette sono infatti facilmente raggiungibili, fruibili e in grado di poter investire sul turismo; ciò detto la rete istituita dal parco, coinvolgendo le diverse realtà che gravitano attorno al sistema, porta di ritorno quei beni collettivi che garantiscono alla cittadinanza, sicuramente più presente e consapevole, una migliore qualità della vita.

Lo stesso Barone specifica come il parco possa diventare un ente di gestione del territorio in grado di  incidere sui settori produttivi, favorire la fruizione delle risorse naturali e culturali, migliorare i modelli di consumo dei residenti e stimolare la partecipazione locale ad iniziative di conservazione delle risorse naturali; in altre parole il parco diventa un laboratorio di sviluppo sostenibile.

D’altra parte trascurare il territorio e l’ecosistema oggi potrebbe arrecare un grave danno domani. Quanto grave ancora non lo sappiamo; i concetti di biocenosi e ecosistema sono infatti relativamente recenti, essendo nati solo un secolo fa, e i legami esistenti nei diversi habitat sono talmente tanti, fitti e sorprendenti da non permetterci una ragionevole stima a priori dei costi della loro distruzione.

Ecco perché il Ministero il 28 dicembre del 2012 ha emanato una direttiva per “l’impiego prioritario delle risorse finanziarie (per altro già assegnate) a indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità.”

“La direttiva” – si legge nel testo – “è uno strumento d’indirizzo per la pianificazione degli obiettivi di miglioramento delle performance degli enti parco, a partire dalle finalità istituite delle aree protette promosse dalla legge quadro 394/1991.”

E se qualcuno sta pensando che in tempo di crisi sarebbe meglio destinare quei soldi ad altro facciamo un breve viaggio in Thailandia dove negli ultimi anni le foreste di mangrovie (Costing the Earth: The value of pricing the planet, Fred Pearce, The New Scientist, N. 2888), sono state distrutte per fare spazio a bacini per l’allevamento di gamberi con un conseguente giro di affari di 10.600 dollari ad ettaro. Peccato però che le mangrovie hanno l’importantissimo e trasversale ruolo di proteggere le coste. La loro presenza sarebbe stata di grande aiuto durante lo tsunami del 2004 (le coste protette da mangrovie hanno infatti registrato molti meno danni di quelle sprovviste di vegetazione) permettendo allo stato thailandese di risparmiare 18.000 dollari per ettaro di costa danneggiata.

A conti fatti i gamberi non sono stati un buon investimento.

Insomma se proprio volessimo ridurre tutto al linguaggio economico, i parchi e le aree protette avrebbero molto da dire e da dare; tuttavia è forse il caso di abbandonare l’ottica della crescita e del profitto e decidere di salvaguardare la natura per salvaguardare l’essere umano, in ogni suo aspetto. Avanti con l’evoluzione!

 

Bibliografia:

  • Giuliano Tallone, I parchi come sistema – Dai modelli storici ai nuovi paradigmi
  • Vincenzo Barone, Buone pratiche di sviluppo Sostenibile nelle aree naturali
  • Comunicato stampa del convegno “La ricchezza dei Parchi – beni comuni e green economy”
  • Anna Natali – Parchi e sviluppo: un binomio da sempre problematico
  • Leonardo Casini – L’impiego della metodologia I/O per la valutazione dell’impatto di un parco sull’economia locale: metodi semplificati
  • Domenico Mauriello – L’economia reale nel sistema delle aree naturali protette

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