“Là dove c’era l’erba ora c’è una città…” era il 1966 e il Festival di Sanremo eliminò alla prima serata “il ragazzo della via Gluck”, una delle canzoni italiane oggi più note e amate.
Sono passati quarantasei anni e l’attualità di quel verso (e di buona parte della canzone) è disarmante; l’unica differenza sta nel fatto che nel 1966 eravamo in piena crescita demografica ed economica mentre oggi, al contrario, la crescita demografica si è stabilizzata (tra il 1981 e il 2001 l’Italia ha registrato una crescita zero per poi avere una piccola ripresa del 4,3 per mille nel 2011 soprattutto dovuta all’immigrazione– dati ISTAT) e siamo, ormai da anni, in crisi economica.
Eppure la cementificazione non è diminuita: se tra il 1951 e il 2005 la popolazione è aumentata del 23% circa, il numero delle abitazioni è aumentato del 157%.
Nel rapporto 2012 sul consumo di suolo in Lombardia stilato dal Centro di ricerca sul consumo di suolo (Crcs), istituto fondato da Legambiente e dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, si legge che nella sola provincia di Milano in dieci anni, dal 1999 al 2009, è stata cementificata un’area di 7323 ettari (cioè circa metà del capoluogo): 20000 metri quadri al giorno rubati al suolo agricolo e naturale che hanno perso rispettivamente in dieci anni 6839 e 738 ettari.
I ricercatori hanno monitorato la situazione anche nelle province di Lodi e Monza e Brianza dipingendo un quadro desolante: ogni giorno nella provincia di Monza e Brianza vengono urbanizzati 5693 metri quadri ossia circa 3,2 volte piazza Duomo, con una perdita di suolo agricolo di 2187 ettari in dieci anni e di ambienti naturali di 90 ettari.
Il suolo, divisibile in urbano, agricolo o naturale può subire trasformazioni da un tipo all’altro in maniera transitoria o permanente, reversibile o irreversibile.
Purtroppo la cementificazione non è per il suolo una transizione reversibile poiché Il suolo è una riserva sostanzialmente non rinnovabile: la velocità di degradazione può esser rapida, mentre i processi di formazione e rigenerazione sono estremamente lenti (CE 232, 2006).
Il suolo, attore maltrattato della nostra economia svolge importantissime funzioni di produzione (agricola), di stoccaggio, filtrazione di nutrienti, sostanze e acqua, riserva di biodiversità e fonte di materie prime. L’eccessiva impermeabilizzazione e cementificazione del suolo può minare l’ecosistema creando danni enormi al sistema ambientale e socio-economico attuale.
Eppure tra il 1990 e il 2005, a crescita demografica zero, in Italia sono stati consumati 3.663.030 ettari di suolo : il 17% di superficie libera registrata nel 1990. Secondo il dossier redatto dal Fondo Ambiente Italiano e WWF, Terra rubata, viaggio nell’Italia che scompare, oggi in Italia si continua a costruire ad un tasso di 75 ettari al giorno. Perché?
Perché il settore dell’edilizia nella sola Lombardia dà lavoro a 375.000 persone e perché in un momento di crisi come quello che interessa l’occidente dal 2008 le casse comunali hanno spesso come unico introito gli oneri di urbanizzazione.
Il problema a monte è che non esiste in Italia una vera e propria legislazione nazionale e un ente terzo che esamini e raccolga i dati dell’intero paese. Il piano regolatore generale infatti, strumento che regola l’attività edificatoria, è redatto dal singolo comune o al più da un insieme di comuni limitrofi.
Uno dei pochi provvedimenti interessanti è il Decreto Legislativo 267/2000 “Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali” che ha definito i ruoli e le competenze degli Enti Locali, riservando competenze di pianificazione territoriale alle Province, attraverso i Piani di coordinamento Provinciali PTCP; restano comunque al Comune le funzioni di assetto e dell’utilizzazione del territorio salvo ciò che non sia attribuito ad altri soggetti dello Stato e della Regione.
Ad oggi, nonostante l’uso del suolo rimanga il centro della pianificazione urbanistica, disciplina tecnica e politica al contempo, non esiste in Italia un piano regolatore nazionale che coordini e vigili sulla difesa del suolo quale bene e risorsa del paese.
Volendo guardare oltre confine in Germania esiste dal 1985 una strategia di tutela, condivisa da tutti gli schieramenti che ha portato nel 1999 alla promulgazione di una legge per la salvaguardia dei suoli; Il governo Merkel si è inoltre posto come obiettivo la disgiunzione dello sviluppo economico dall’occupazione del suolo e la diminuzione del consumo di suolo a 30 ettari al giorno entro il 2020 incentivando la riutilizzazione di quelli già impermeabilizzati.
In Francia il piano regionale dell’Ile de France ha introdotto già nel 1976 il concetto di cintura verde ossia di spazi verdi che circondano le città costringendole in confini invalicabili per l’espansione edilizia; stesso principio adottato dalla Gran Bretagna che ha esteso le cinture verdi dai 1.556.000 ettari del 1995 ai 1.700.000 ettari di oggi.
In Italia la Regione Lombardia è stata l’unica a dotarsi di un Piano di Governo del Territorio che ha sostituito il Piano Regolatore Generale come strumento di pianificazione urbanistica a livello comunale. Salvo deroghe, la legge prevedeva che tutti i comuni lombardi si dotassero di un PGT entro marzo 2009. A quella data solo il 5% dei 1.546 Comuni lombardi ha adottato il PGT. Il Consiglio regionale, preso atto della situazione, ha prorogato il termine al 31 marzo 2010, successivamente al 31 marzo 2011, infine al 31 dicembre 2012.
Eppure qualcosa si sta muovendo: “La sensibilità sulla materia è certamente aumentata” dichiara Stefano Pareglio, docente di Economia Ambientale all’Università Cattolica di Milano “La gente e le istituzioni cominciano a capire che il suolo è una risorsa scarsa e non riproducibile: il paesaggio è un bene privato ma con valore pubblico”.
Il rapporto presentato da Crcs rappresenta già di per sé un ottimo punto di partenza in un paese in cui non esiste un censimento super partes del consumo di suolo; inoltre nei primi mesi del 2012 è stato sottoscritto un accordo tra gli assessorati al territorio delle regioni del nord Italia (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia oltre alle province autonome di Trento e Bolzano) per condividere l’impegno nella diminuzione del consumo di suolo e realizzare banche dati comuni per comporre il quadro della situazione.
Un esempio interessante, in una della zone più edificate d’Italia è quello della costituzione del Parco Regionale della Valle del Lambro: una zona naturale protetta istituita nel 1983 e gestita inizialmente da un consorzio di 35 comuni delle province di Como, Lecco e Monza e Brianza; il Parco si estende per 25 km da nord a sud partendo dal lago di Alserio e Pusiano e annettendo a Sud il Parco di Monza per un totale di 4081 ettari. Nel 2011 il consorzio di Gestione è stato trasformato in Ente di Diritto Pubblico.
In una delle zone più cementificate d’Italia il Parco rappresenta una straordinaria risorsa di biodiversità che garantisce e tutela un patrimonio paesaggistico e architettonico di incalcolabile valore.
Il tutto iniziò nel 1805 quando un decreto napoleonico sancì l’esistenza di un parco accanto ai giardini della Villa Reale di Monza; il parco nacque probabilmente con la funzione di tenuta di caccia includendo tenute, ville, cascine e mulini che si ergevano tra la Santa (oggi comune di Villasanta) e le proprietà dei Durini (villa Mirabello e del Mirabellino) poi estendendosi verso nord per altri 5 km.
L’architetto Luigi Canonica elaborò un progetto volto a coniugare le architetture presenti lavorando personalmente alla trasformazione di edifici per dare uno schema teatrale che garantisse bellezza e regalità della tenuta.
Con il ritorno dell’impero asburgico il Parco di Monza aprì per la prima volta le porte al pubblico; in quegli anni avevano cominciato a prendere piede le idee di Luigi Mabil (Luigi Mabil, Teoria dell’arte de’ Giardini, Bassano, 1801) secondo le quali le città dovevano avere piazze e luoghi deputati a passeggiate e incontri, all’esterno o all’interno della mura cittadine. Questi dovevano consentire al cittadino di respirare aria salubre, distogliere il pensiero dai problemi quotidiani, offrendo immagini o momenti piacevoli.
Anche un lungimirante Ercole Silva (Ercole Silva, Dell’Arte de’ Giardini Inglesi, Pietro e Giuseppe Vallardi, Milano, 1801) sosteneva l’importanza dell’esistenza di questi spazi come vero e proprio bisogno del cittadino.
Dopo gli Asburgo, la villa e il parco passarono ai Savoia che mostrarono una sostanziale indifferenza nei confronti della Villa e del Parco fino a quando, nel 1878, Umberto I diede inizio a lavori di ristrutturazione e abbellimento della Villa Reale.
Il 29 luglio 1900 Umberto I di Savoia, di ritorno alla Villa Reale di Monza, venne assassinato non distante dal parco per mano dell’anarchico Gaetano Bresci; questo evento gettò la villa e il parco in uno stato di abbandono che durò fino al 21 agosto 1919 quando la villa e il parco vennero consegnati al demanio e successivamente donati a diversi beneficiari.
Nel 1922 fu concessa alla SIAS (Società dell’Incremento dell’Automobilismo e dello Sport) un’area di 370 ettari nella parte nord per la costruzione dell’Autodromo di Monza, terzo circuito permanente al mondo.
Dal 1934 la villa, i giardini e parte del parco appartengono ai comuni di Monza e Milano.
Le mura di recinzione vennero erette nel 1808 con i materiali residui provenienti dalle vecchie mura di Monza. Oggi il suo parco, con una superficie di 688 ettari e un perimetro di circa 14 km, è il maggior parco d’Europa recintato da mura.
Come si è detto, dal 1983 fa parte del Parco della Valle del Lambro, una zona boschiva e in parte agricola in cui sono presenti uccelli (gufi, civette, falchi, poiane e piccoli uccelli come pettirossi, fringuelli e cardellini), rettili (rane, rospi, salamandre, orbettini, ramarri, natrici, biacchi e bisce) e mammiferi (volpi, scoiattoli, tassi, donnole, ricci, topi e altri roditori); il parco è inoltre caratterizzato da diversi ambienti floreali tra i quali sono rilevanti i boschi di robinia, carpini, farnie, ontani e frassini.
Lo statuto dichiara che l’Ente di Diritto Pubblico ha lo scopo di progettare, realizzare e gestire il Parco della Valle del Lambro individuato e classificato dalla LR 8/11/1996 come parco fluviale e di cintura metropolitana.
Particolarmente interessante è l’articolo 31 dello statuto che prevede la cura di ogni possibile forma di partecipazione del cittadino, attraverso la promozione di assemblee indette da associazioni, i rapporti con le istituzioni scolastiche e la predisposizione di pubblicazioni divulgative sul parco.
La presenza di un sito come quello di www.parcovallelambro.it testimonia la volontà di coinvolgere il cittadino nella valorizzazione del parco dando la possibilità di intervenire attivamente nella difesa, tutela e conoscenza della regione protetta. Inoltre la vendita di prodotti realizzati nelle cascine e fattorie che si ergono sulla sua superficie (latte, formaggi, yogurt) rappresenta un timido tentativo di investimento delle imprese locali.
È presto per poter parlare di marketing territoriale, uno strumento più strutturato e completo in grado di individuare le problematiche dei sistemi territoriali e le strategie per la creazione di ricchezza e benessere del territorio. Si tratta tuttavia di un primo approccio di promozione volto alla presa di coscienza da parte del cittadino dell’enorme patrimonio naturale, architettonico e storico che il parco rappresenta.
Ad oggi la costituzione del Parco Regionale e la consapevolezza dell’importanza che questo riveste per i cittadini ha impedito a costruttori ed imprenditori di cementificare aree verdi nei pressi del parco. Numerose attività di informazione e comunicazione da parte di associazioni volontaristiche, forti della costituzione del Parco Regionale e dello statuto del consorzio (ora ente di diritto pubblico), hanno mobilitato la comunità nella difesa del parco ogni volta che è stato minacciato da nuovi interventi di urbanizzazione.
Benché si tratti di pochi ettari in una regione devastata da intensa edificazione, il Parco della Valle del Lambro offre a tutti i cittadini la possibilità, ormai rara, di immergersi nella natura, di riscoprire una dimensione più rilassata per passare il tempo facendo camminate, pic-nic e sport all’aria aperta.
Il Parco oggi assolve in tutto e per tutto il ruolo assegnatogli da Luigi Mabil e Ercole Silva nell’800; per nostra fortuna qualcuno in passato non era affetto da miopia.