“Per un breve periodo, da vedova, Marie Curie fu legata a un uomo sposato, un collega più giovane che l’avrebbe lasciata non appena lo scandalo fece il pieno sui giornali dell’epoca”. Era fondamentale arricchire la biografia della scienziata tra le più importanti di sempre di questo episodio, per nulla influente sulla sua attività scientifica? Probabilmente, quando si è donne, sì.
Facciamoci caso, cosa non manca mai in una biografia femminile? Il numero di figli (quand’anche il dato è zero) e di mariti o compagni.
Non c’è dubbio che la vicenda privata di ogni uomo e ogni donna aderisca, come un tessuto elastico sulla pelle, all’impresa che ha reso il tale soggetto degno o degna di una narrazione che fermi nel tempo e per sempre il valore del suo lavoro. E si trova certamente nel giusto chi non dimentica di riportare la complessità della sfera personale, del vissuto con i suoi intrecci passionali e della famiglia di quel personaggio pubblico, di quella diva, di quell’eroe di cui si scrivono le gesta. Ma se leggiamo di una donna, allora la questione si fa più seria.
Non si tratta più di un puro dettaglio biografico. Quanto più una vita è disseminata di episodi singolari e controversi, molto più questi influenzeranno la memoria collettiva e le tracce nel tempo di colui o colei che si studia.
Questo riguarda certamente la scienziata più rappresentata dalla produzione artistica, tra coloro che più hanno ispirato letteratura, cinema e teatro, Marie Curie. La fisica polacca ha vissuto una vita straordinaria, la sua impresa scientifica è stata appassionante quanto l’amore coniugale. Non si può raccontare la sua ricerca senza addentrarsi nel rapporto saldo e ispiratore con il marito e compagno di fatiche, Pierre Curie. Nella sua biografia, però, c’è spazio per i dettagli “gossip”.
Quando la personalità che si tenta di delineare è così immensa, scendere nei meandri dell’intimità femminile per raccontare gli amori e i contrasti delle diverse libertà sempre difficilmente conciliabili (quella di realizzare un sogno civile, quella di accudire i propri cari e quella di sentirsi amata) comporta una domanda. Possono i dettagli sminuire la potenza di una figura che tanto ha dato alla scienza e alla fiducia nell’emancipazione femminile?
Due premi Nobel, il primo in fisica nel 1903 ricevuto insieme al marito Pierre Curie e Antoine Henri Bequerel per i loro studi sulle radiazioni, e nel 1911 il Nobel in chimica per la scoperta del polonio e del radio. Due figlie, la primogenita a sua volta premio Nobel in chimica. Basterebbe quest’estrema sintesi per evocare l’immagine di una donna di ferro, caparbia e intelligentissima. Eppure poco ci aiuta a inquadrare cosa muove la passione di un genio. Che ambiente ha influito nelle scelte di Marie giovane, e poi di Marie matura e affermata? Una gioventù di sacrifici: per permettere alla sorella maggiore di studiare all’estero e poi a sua volta lontana da casa, a Parigi, per proseguire gli studi universitari vietati alle donne in Polonia. Genitori colti ma ostili alla linea zarista e quindi allontanati dalla vita pubblica. Orfana di madre in tenera età, Maria (si sarebbe chiamata Marie solo una volta giunta a Parigi) associa presto il valore della conquista al sudore della fatica , la conoscenza come mezzo di libertà.
Per vivere il suo tempo Marie ha camminato a due velocità, quella della pioniera e quella della mediatrice. Nella pellicola cinematografica del 1944 “Madame Curie”, la scienziata si fa largo in un ambiente di uomini, emerge, ragiona, tenta, insiste, spera, ama. Al contempo accetta di lavorare in un laboratorio non adatto a “una signora”, come è ben contenta di ascoltare l’intervento di suo marito alla consegna del Nobel del 1903, perché una donna non avrebbe potuto intervenire.
La sua ricerca ha sempre un contorno rosa. Di nessuno scienziato uomo si sarebbero raccontate le lacrime al termine di 4 anni di esperimenti per isolare il radio, nel film “Madame Curie” è invece liberatoria e persino contagiosa tanta emozione. Quando è ancora studentessa, Marie è rappresentata nella tipica timidezza tutta femminile di accettare i complimenti e la richiesta di fidanzamento. Una scena è inoltre dedicata alla prova del vestito per la cerimonia universitaria e l’inaugurazione del suo nuovo laboratorio. Si sarebbe preso tanta briga il regista per queste riprese tutto sommato frivole se si fosse voluto raccontare la vita di Monsieur Curie?
La pellicola del ’44 pone inoltre allo spettatore una scomoda domanda: sarà stata la due volte premio Nobel anche una madre presente? La pellicola, sorvolando sulla questione, suggerisce che il tempo per la famiglia è stato inferiore di quello dedicato alla scienza. Occorre ricorrere alla biografia, affezionata, della figlia secondogenita per ritrovare un rapporto colmo di ammirazione verso la madre e il suo lavoro. Anche le lettere piene d’amore e di stima intellettuale di Pierre le rendono un’umanità più dolce e tonda fatta di un affetto ricambiato, una passione non soltanto verso la ricerca, consegnando alla storia la testimonianza di una donna che ha saputo mettere tutta se stessa in ciò che nella sua vita ha davvero avuto rilevanza per lei, la scienza e la famiglia. Avrebbe rinunciato volentieri alla carriera per accudire il padre e persino coi suoceri si rivelò una nuora adorabile. Oltre duecento lettere raccolte in un volume edito da Dedalo raccontano gli scambi proficui e costanti tra la scienziata e le due figlie. Non conoscere questo, significa non aver compreso a pieno il suo impegno.
Proprio a partire da queste lettere, una cosa mi sarebbe piaciuto chiedere a Madame Curie. Chissà se a dare ulteriore slancio alle sue ambizioni fu stato anche il fatto di essere madre di due figlie femmine: quale migliore insegnamento alla libertà e alla fiducia in se stesse che non l’esempio? Sarebbe stata la stessa la biografia della fisica polacca se avesse generato due figli maschi? O se non avesse avuto figli?